Il cognome non fa l’artista

Nicolas Ballario difende la scelta del Museo diretto da Carolyn Christov-Bakargiev di acquistare ad Artissima una tela del giovane Pietro Moretti: «È il lavoro che conta, non il nome. E lui è un bravo artista»

«La visita, un’altra visita» di Pietro Moretti, rappresentato dalla Galleria Doris Ghetta, acquisito dalla Fondazione Crt per l’arte contemporanea
Nicolas Ballario |

Luca Beatrice dalle pagine di «Libero» biasima la scelta del team curatoriale del Castello di Rivoli di acquisire durante Artissima la tela di un giovane autore, Pietro Moretti: «I Musei investono sulle tele del figlio di Nanni Moretti». Come capita quasi sempre, sono certo che il titolo non lo abbia scelto Beatrice, perché il pezzo è meno volgare di così, di un’accusa travestita da allusione.

Beatrice parla di «quotazioni inspiegabili» (c’è poco d’inspiegabile in un pezzo di 250x150cm che costa 8mila euro) e si dice molto colpito, non certo positivamente, dalla decisione di Carolyn Christov-Bakargiev, perché non succede mai che Rivoli acquisti autori senza grande curriculum. Anche questo mi pare poco vero, perché ogni anno acquista giovanissimi, cosa che fanno molti musei internazionali.

Vengo al punto: ho visto le tele di Pietro Moretti per la prima volta l’anno scorso, perché la sua galleria lo sta portando per le fiere. I suoi quadri mi sono subito piaciuti moltissimo e siccome chiamo spesso giovani autori nella mia trasmissione in Rai («Te la do io l’arte», su Radio 1, Ndr) mi ero detto: «Lo invito». Poi qualcuno mi ha suggerito compiaciuto che il padre è Nanni Moretti e, un po’ vigliaccamente, ho lasciato cadere la cosa: non avevo voglia di polemiche sul fatto che lo invitassi in quanto «figlio di». Non voglio dire che sia una disgrazia essere il figlio di Nanni Moretti, ma a volte immagino sia faticoso.

Il team di Rivoli di questa cosa se n’è, giustamente, fregato, perché è il lavoro che conta, non il nome. La pittura di Pietro ha un sapore espressionista e trovo in lui molto interessante il confine fluido delle forme: non si capisce dove finisca la figurazione e cominci l’astrazione. È un bravo artista e penso meriti un (piccolo) riconoscimento che possa aiutarlo nella carriera.

A Luca Beatrice piace fare polemica e non c’entra la politica: chiunque lo conosca sa che in realtà è di destra più o meno quanto è interista. Sì, fare casino è bello e anche io non mi sottraggo di solito, anche se è troppo facile suggerire dalle pagine di «Libero» che un’istituzione culturale stia facendo un favore a un’icona del cinema prima e della sinistra poi.

Però questa storia non danneggia Nanni Moretti, non danneggia Rivoli, non danneggia Christov-Bakargiev o la Fondazione CRT che ha pagato. Getta solo ombre su questo ragazzo di 26 anni, che invece ha fatto e farà fatica come tutti gli altri a emergere. Dovremmo essere felici in quei rari casi in cui i Musei investono sui giovani e Luca Beatrice, che i giovani li forma nelle Università, dovrebbe fare più attenzione a dedicare una pagina di un quotidiano in quel modo, perché ora qualcun altro ci penserà due, tre, dieci volte prima di premiarlo.

Io mi sono pentito di non averlo intervistato all’epoca. Recupererò.

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