Il Codex di Serafini tra i bambù di Ricci

Il Novecento ha amato molto gli alfabeti immaginari e immaginati: molto si è scritto sul misterioso Manoscritto Voynich, ritrovato in un monastero di Mondragone, con le sue tremende visioni di mondi paralleli. Jean Dubuffet, nelle sue ricerche sull’Art Brut, ha puntato il riflettore sulla produzione, complessa e stratificata di Adolf Wöllfli, che disseminava di segni grafici le sue densissime, sovraccariche, rappresentazioni del mondo.
Il Codex Seraphinianus aggiunge altri incantevoli e allo stesso tempo disturbanti segni asemici alla memoria del secolo breve. L’opera notevole compiuta da Luigi Serafini tra il 1976 e il 1978 allinea istantanee di una realtà liquida, magmatica, instabile. Questa enciclopedia di un mondo intermedio tra artificiale e biologico, tra materia e sogno, è accompagnata da grafie altrettanto mutevoli. Nel 1981 quando il libro venne edito per la prima volta, in un sontuoso
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