Il cammino più lungo del mondo passa per la Triennale
Intervista a Sara Furlanetto, la fotografa di «Va’ Sentiero», spedizione intrapresa lungo i quasi 8mila km della dorsale montuosa italiana

Incontrando paesaggi spettacolari, ghiacciai che si ritirano, paesi spopolati e chi resiste felicemente in montagna, sette esploratori hanno attraversato le cosiddette «Terre Alte» italiane lungo il «Sentiero Italia», dal Friuli Venezia Giulia alla Sardegna, dall’arco alpino all’Appennino fino al Sud e alle isole, dando vita a un progetto escursionistico dal nome verdiano di «Va’ Sentiero».
Dopo tre anni dall’avvio della prima spedizione, l’esperienza viene raccontata in una mostra intitolata «Va’ Sentiero. Uno sguardo lungo 8mila km», allestita alla Triennale di Milano dal 15 marzo al 7 aprile, curata da Rica Cerbarano, Yuri Basilicò e Sara Furlanetto, con il contributo della Fondazione Cariplo e il supporto di 150up.
Tra picchi, vallate e incontri, questo viaggio a piedi è narrato da un centinaio di foto, da molti testi e da un video creato appositamente per la mostra. La fotografa Sara Furlanetto (Castelfranco Veneto, 1993) ci descrive l’esperienza del cammino, che ha richiesto una dedizione e un entusiasmo non comuni.
Furlanetto, come è nato il progetto?
Nel 2016 Yuri Basilicò scoprì in Corsica, parlando con alcuni escursionisti scandinavi, l’esistenza del «Sentiero Italia», presentato come il sentiero di montagna più lungo del mondo perché attraversa tutte le regioni lungo la dorsale, ma su di esso non c’era nessuna bibliografia. Da lì ebbe l’intuizione di creare una spedizione partecipativa per renderlo un percorso di conoscenza delle montagne.
Lei che cosa ha cercato come fotografa?
Con il «Sentiero Italia» da una parte ho cercato di documentare la biodiversità incommensurabile del paesaggio, dall’altra ho provato a comprendere e mostrare l’impatto dell’uomo. Vengo dalla fotografia documentaristica, mi sono laureata a Londra nel 2016, avevo approfondito il tema dei migranti: in quel progetto, a me interessava dare loro un volto.
E che cosa ha visto?
Si vedono gli effetti dello spopolamento. Molti erano luoghi di progresso culturale con architetture e paesi molto densi, adesso sono cattedrali fatiscenti, spopolate, prive di giovani e di prospettive. Ma l’Italia montana è un mosaico di contrasti, non c’è una risposta univoca. Dopo la mostra vorrei che le persone guardassero alla montagna andando oltre lo stereotipo del luogo di svago bellissimo ma che finisce lì, vorrei si avvicinassero alla sua complessità.
Un caso significativo da raccontare?
In Friuli Venezia Giulia al confine con la Slovenia nelle valli del fiume Natisone, le persone si sentono slovene con passaporto italiano, hanno subito un fortissimo spopolamento venendo dalla pastorizia e dall’agricoltura, per cui quei crinali sono risucchiati dal rimboschimento selvaggio che mina la biodiversità locale. Nel borgo di Topolò vive un collettivo di una decina di giovani artisti e architetti (su una ventina di abitanti) che si interroga sui nuovi modi di abitare in zone marginali, lavora alla rivista «Robida», che in sloveno vuol dire rovi e riceve contributi da artisti di tutto il mondo. Lì, dalla fine degli anni ’80 fino al 2022, si è tenuto il festival di arte contemporanea «Stazione di Topolò», diventato internazionale grazie al passaparola. Ora il collettivo valuta in quale forma portare avanti questa eredità.
Come vi siete finanziati?
Stiamo consolidando un format imprenditoriale per rendere il lavoro sostenibile, abbiamo cercato sostegni, sponsor tecnici e soprattutto abbiamo lanciato campagne di crowdfunding. Nella spedizione ci siamo adattati a ogni contesto, dalla tenda all’accoglienza in canoniche tramite i Comuni.
Com’è organizzata la mostra alla Triennale?
La mostra rappresenta istantanee: non sono scatti premeditati, studiati, ma rispecchiano l’estemporaneità dell’esperienza e degli incontri per far capire al pubblico la nostra modalità di esplorazione itinerante e la dimensione montana nella sua complessità andando oltre la bellezza del paesaggio. Il percorso si apre sul lato naturalistico per valorizzare la biodiversità del territorio e poi introduce al tema dell’antropizzazione, affrontando il modo in cui l’uomo è intervenuto sull’ambiente per rispondere alle proprie esigenze e come l’impatto umano abbia anche effetti negativi. Un focus approfondisce il tema dell’abbandono, e poi il percorso si chiude con uno sguardo sulle identità culturali delle comunità montane. Nella seconda sezione della mostra, si trova un approfondimento sulla spedizione con pannelli, grafiche, foto e un video realizzato dal videomaker della spedizione, Andrea Buonopane.
E finita la mostra milanese che cosa accade?
La nostra intenzione è renderla itinerante. Inoltre, dopo aver autoprodotto un libro due anni fa, il 14 marzo ne abbiamo lanciato uno dal titolo Va’ Sentiero. In cammino per le Terre Alte d’Italia, edito da Rizzoli (320 pagine, 35 euro) con foto di paesaggi e incontri che fornisce anche elementi pratici, una sorta di guida ispirazionale.
