Il cammino dei migranti visto da Salgado

«Un’immagine è come un appello a fare qualcosa, non soltanto a sentirsi turbati o indignati»

Jade Maiwan, un tempo la strada principale di Kabul. Afghanistan, 1996. © Sebastião Salgado / Contrasto
Monica Poggi |

Pistoia. Nonostante le prime mostre su questo lavoro risalgano ormai a vent’anni fa, quello raccontato da Sebastião Salgado in «Exodus. In cammino sulle strade delle migrazioni» rimane un tema attuale. Due sedi, Palazzo Buontalenti e l’Antico Palazzo dei Vescovi, per oltre 180 immagini che compongono l’esposizione, prorogata dopo la chiusura da coronavirus fino al 26 luglio, curata da Lélia Wanick Salgado e organizzata da Fondazione Pistoia Musei in collaborazione con il festival di antropologia del contemporaneo «Pistoia - Dialoghi sull’uomo».

La fatica del cammino, la paura di lasciare tutto, la disperazione nei campi profughi, ma anche l’eroica determinazione di chi cerca una vita migliore e la collaborazione fra persone unite da un destino comune. Tutto questo nelle immagini di Salgado, che fin dai suoi esordi ha viaggiato per raccontare la vita dell’uomo sulla terra, mostrandoci il dramma del resto del mondo.

Un’umanità che sembra reiterare continuamente i propri sbagli, costringendo sempre più persone ad abbandonare le proprie case per inseguire il sogno di una mitica Terra Promessa. Non solo guerre, persecuzioni e il crescente divario fra ricchi e poveri, ma anche le calamità naturali: secondo la Banca Mondiale, nel 2050 ci saranno 143 milioni di persone costrette a migrare a causa dei cambiamenti climatici.

Un progetto che Salgado ha iniziato negli anni ’90 per dare un volto a questi numeri, ancora in grado di interrogarci. «Un’immagine è come un appello a fare qualcosa, non soltanto a sentirsi turbati o indignati. L’immagine dice: “Basta! Intervenite, agite!”».

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