Il 2022 è l’anno X per clima e cultura

L’arte sarà una potente forza di cambiamento se mette sostenibilità e transizione ecologica al centro della produzione di opere, mostre e vendite

Una protesta per il cambiamento climatico. Foto Markus Spiske
Danny Chivers |

Per evitare gli scenari disastrosi prospettati dai climatologi, il 2020 è il decennio in cui agire. I governi non si stanno muovendo con l’urgenza e l’ambizione necessarie, spetta anche a noi intensificare il contributo al dimezzamento delle emissioni globali entro il 2030.

Il settore delle arti visive non produce le stesse emissioni di carbonio dell’agricoltura o dell’edilizia, ma ha comunque un impatto di gran lunga maggiore dello spazio fisico che occupa. In un momento cruciale per il nostro pianeta, il mondo dell’arte può fare una scelta: unirsi e collaborare per costruire un mondo migliore o aggrapparsi a metodi di lavoro obsoleti che ci porteranno a precipitare in un disastro? L’esempio dato dal mondo dell’arte conta.

Il Covid-19 ha sconvolto lo status quo. Artisti e gallerie importanti stanno valutando di tagliare la presenza nelle fiere (e i rispettivi voli) e di accrescere le vendite online al di là della pandemia. La sfida sarà convertire queste misure ad hoc in un cambiamento più sistemico. È necessario, però, prestare attenzione alle alternative: gli Nft basati su blockchain affamate di energia potrebbero creare più problemi di carbonio di quanti ne risolvano.

Ridurre i voli aerei sarebbe molto importante. Nel 2019 l’artista inglese Gary Hume ha trasferito una mostra da Londra a New York via mare anziché via aerea, riducendo l’impatto climatico del 95%. Un’attenta pianificazione e tempi di consegna più lunghi per le mostre permetterebbero importanti risparmi di carbonio nella logistica dell’arte. 

Secondo i dati della Gallery Climate Coalition (GCC), i voli d’affari e il trasporto aereo di opere costituiscono dal 70% all’80% della loro impronta di carbonio, per le gallerie pubbliche l’uso di energia è la principale fonte di emissioni dirette ed è un aspetto da affrontare. Linee guida come quelle concordate nel Protocollo Bizot Green Protocol nel 2015 per ridurre il consumo di energia e l’emissione di carbonio, devono essere aggiornate, migliorate e applicate su tutta la linea (dalla conservazione alla progettazione degli edifici, all’esposizione ecc).

Anche con chi si sceglie di lavorare è importante: oggi non sono mecenati come i Medici a usare le arti per rafforzare o riscattare la loro reputazione, ma le corporazioni e i miliardari, compresi i giganti dei combustibili fossili e le banche che li finanziano. Negli ultimi cinque anni molti luoghi d’arte, dalla Tate Gallery al Van Gogh Museum, hanno rinunciato al finanziamento delle compagnia petrolifere, ma alcuni, tra cui il British Museum e la National Portrait Gallery di Londra, hanno ancora accordi promozionali con colossi come la BP, fornendo una patina di rispettabilità alle aziende più responsabili della crisi climatica.

Gli aiuti e gli esempi positivi però non mancano. Organizzazioni come GCC, Ki Culture, Julie’s Bicycle e Culture Unstained forniscono indicazioni su tutto, dai piani d’azione per il taglio del carbonio alla raccolta fondi, all’etica. Le organizzazioni artistiche possono davvero essere una potente forza di cambiamento contribuendo a modellare un passaggio a basse emissioni di carbonio, supportando soluzioni climatiche attraverso partnership e catene di approvvigionamento, presentando opere e progetti educativi di ispirazione. Non c’è momento migliore per iniziare di adesso.

L'autore è performer e studioso dei cambiamenti climatici. È consigliere ambientale della Gallery Climate Coalition

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