Un particolare di «We Sit Starving Amidst Our Gold» (2013), di Jeremy Deller: un redivivo William Morris scaglia fuori dalla laguna veneziana lo yacht di Roman Abramovic. Il dipinto era esposto nel Padiglione britannico della 55ma Biennale di Venezia. Foto Jeremy Deller

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Un particolare di «We Sit Starving Amidst Our Gold» (2013), di Jeremy Deller: un redivivo William Morris scaglia fuori dalla laguna veneziana lo yacht di Roman Abramovic. Il dipinto era esposto nel Padiglione britannico della 55ma Biennale di Venezia. Foto Jeremy Deller

Il 2022 annus horribilis per collezionisti e mecenati russi

In tanti si sono trovati in un’impasse: non è stato loro più concesso il prelievo di denaro e le loro opere sono state sequestrate. Qualcuno ha cercato di aggirare le sanzioni dell’Occidente, ma non sempre ha funzionato

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Redazione GDA

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Per l’arte e i collezionisti russi il 2022 era partito in pompa magna. Le mostre della collezione di Ivan Morozov alla Fondation Louis Vuitton a Parigi e degli oggetti Fabergé al Victoria and Albert Museum di Londra erano in pieno svolgimento. A Mosca aveva appena aperto la Casa della Cultura Ges-2, creata a spese e su iniziativa del miliardario Leonid Mikhelson; Garage di Roman Abramovich e Daria Zhukova stava proseguendo la costruzione di un nuovo edificio, l’Hexagon Pavilion a Gorky Park, e si accingeva a ospitare una retrospettiva dell’artista tedesca Anna Imhof; a dicembre 2021, infine, Pëtr Aven  aveva annunciato l’apertura nel 2025 a Riga del suo museo di arte russa e lettone.

La situazione è cambiata radicalmente dopo il 24 febbraio, quando, in risposta all’inizio del conflitto in Ucraina, i Paesi occidentali hanno iniziato a imporre sanzioni contro gli oligarchi russi (che sono anche i più importanti mecenati d’arte in Russia). In seguito, i mecenati «autorizzati» sono scomparsi dagli elenchi dei trustee dei musei negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Pëtr Aven è stato costretto a lasciare il consiglio di amministrazione della Royal Academy of Arts di Londra e il museo gli ha anche restituito un contributo che Aven aveva elargito per l’organizzazione della mostra «Francis Bacon. L’uomo e la bestia».

Anche le prospettive per il museo privato del collezionista di Riga non sono chiare, dal momento che i beni  di Aven nel Regno Unito sono stati sequestrati;  in primavera la stampa in Lettonia ha ventilato la possibilità di privare l’imprenditore della cittadinanza. Dal board of trustees del Guggenheim Museum di New York è stato chiesto anche al miliardario russo Vladimir Potanin di lasciare il suo posto nel board.

Delicata la posizione in cui si è trovato il Museo israeliano dell’Olocausto Yad Vashem, il cui consiglio ha firmato un appello agli Stati Uniti con la richiesta di non imporre sanzioni all’oligarca russo Roman Abramovic. Quando però Abramovic ha dovuto subire le sanzioni britanniche, il museo ha diramato un comunicato stampa annunciando la sospensione della strategica partnership con il filantropo. 

La pratica di «cancellare» i mecenati russi all’estero ha assunto talvolta una forma pubblica. A maggio, attivisti di sinistra italiani hanno organizzato una manifestazione davanti a Palazzo delle Zattere, la residenza veneziana della fondazione V-A-C fondata da Leonid Mikhelson (cui si deve in Russia il progetto di Ges-2). I giovani dell’organizzazione Global Project hanno appeso striscioni sulla facciata dell’edificio chiedendo l’esproprio della proprietà degli oligarchi russi, hanno tenuto una manifestazione e poche ore dopo si sono dispersi. «Tutto si è risolto pacificamente», hanno commentato i rappresentanti di V-A-C a Venezia.

In più, un’ondata di sequestri di proprietà (yacht, ville e aerei) di oligarchi russi ha travolto l’Occidente, e ha colpito anche opere d’arte scoperte durante le perquisizioni. Oleg Deripaska, ad esempio, era già stato sanzionato nel 2018 dagli Stati Uniti; nell’autunno del 2021, tra gli oggetti sequestrati nelle sue case a New York e Washington, c’erano opere d’arte di valore, tra cui un dipinto di Diego Rivera. E quando, lo scorso marzo, gli squatter hanno occupato la villa londinese considerata proprietà di Deripaska, hanno pubblicato un video degli interni: si notano, tra gli altri, mobili di pregio e un dipinto di Franz Roubaud e una scultura astratta di Barbara Hepworth. Anche l’imprenditore britannico Graham Bonham Carter è accusato di aver cercato di esportare illegalmente a Londra opere d’arte acquistate da Deripaska a un’asta a New York e di aver fornito informazioni false alla casa d’aste per nascondere il nome del vero proprietario. Gli Stati Uniti ora chiedono l’estradizione di Bonham Carter.

L’acquisto di arte tramite terzi, aggirando le sanzioni, ovviamente, non l’ha inventato Oleg Deripaska: è un sistema vecchio e collaudato. I fratelli russi Arkady e Boris Rotenberg sono stati oggetto di sanzioni statunitensi nel 2014, ma ciò non ha impedito ai due miliardari di continuare ad acquistare opere d’arte, tra cui impressionisti e artisti del Novecento.

Lo scorso luglio su uno yacht sequestrato all’oligarca russo Suleiman Kerimov, le autorità statunitensi hanno recuperato un uovo Fabergé. Lo ha rivelato il viceprocuratore generale degli Stati Uniti Lisa Monaco alla conferenza annuale sulla sicurezza ad Aspen, in Colorado.

Nei rapporti di indagine compare sovente il nome di Alisher Usmanov.  Dapprima, nella sua villa a Rottach-Egern in Baviera (come riferito da «Der Spiegel») gli investigatori tedeschi hanno trovato gioielli, dipinti e quattro uova Fabergé, poi, nel corso di una perquisizione del megayacht Dilbar (di proprietà della sorella dell’oligarca) hanno sequestrato dei dipinti, tra cui un’opera di Marc Chagall. Per quanto riguarda i Fabergé il legale di Usmanov ha affermato trattarsi semplicemente di regali per gli amici in Uzbekistan, senza particolare valore. Le autorità tedesche dovranno verificare l’autenticità degli oggetti per decidere che cosa farne. Per legge, l’oligarca avrebbe dovuto denunciarne la proprietà nel Paese, ma non avendolo fatto la Germania può confiscare temporaneamente le proprietà di Usmanov, yacht e oggetti di valore.

Inoltre, la fiducia dei collezionisti privati ​​nella tutela offerta dai musei è stata minata dal fermo delle opere d’arte dopo la fine delle mostre. Ad aprile è toccato a due dipinti della mostra su Morozov allestita nella parigina Fondation Vuitton: un «Autoritratto» di Pëtr Koncalovskij, di proprietà di Pëtr Aven, e un ritratto di Timofei Morozov di Valentin Serov, di proprietà del Museo dell’arte d’avanguardia (Magma) di Ginevra, fondato da Vyacheslav (Moshe) Kantor. A fine anno non si avevano ancora notizie sul destino di queste opere; si presume quindi che i dipinti rimarranno in Francia fino a quando i loro proprietari saranno soggetti a sanzioni.

Una vicenda simile è quella di due oggetti Fabergé esposti al V&A di Londra e associati al nome di Viktor Vekselberg. Dopo la fine della mostra a maggio, l’uovo di gallina (il primo prodotto Fabergé di questo tipo) e il portasigarette smaltato in oro del 1913 della collezione del Museo Fabergé di San Pietroburgo non sono tornati al loro proprietario ufficiale, Lamesa Arts Inc., registrata a Panama, di proprietà di Vekselberg. Spetta ora al Tesoro britannico decidere se restituire o meno gli oggetti.

Secondo un rapporto elaborato da Deloitte e ArtTactic, prima dei noti eventi i collezionisti russi acquistavano opere d’arte europee e americane per 1-1,5 miliardi di dollari all’anno; la loro uscita dal mercato internazionale sarà comunque un colpo sensibile. Un certo numero di uomini d’affari, noti in passato per il mecenatismo in Russia, negli ultimi anni hanno prudentemente riorientato i loro programmi per sostenere la cultura e l’arte in altri Paesi, il che consente loro di prendere, in una certa misura, le distanze dalla Russia. Naturalmente, questo non sempre funziona.

Generosi contributi a musei, borse di studio all’estero, persino l’ottenimento della cittadinanza occidentale e la volontà di creare un museo privato non hanno salvato Roman Abramovic, Pëtr Aven e Mikhail Fridman, ad esempio, dalle sanzioni. Ma, d’altro canto, Leonid (Leonard) Blavatnik, originario di Odessa, emigrato dall’Urss, che aveva fatto affari in Russia e mantenuto contatti con l’élite politica russa, ce l’ha fatta a evitare l’ostracismo. Le sue donazioni nel Regno Unito non solo vengono accettate, ma sono a lui intitolate un nuovo edificio della Tate Modern è un’ala della National Portrait Gallery.

C’è anche chi di recente ha avviato progetti culturali ed educativi nei Paesi della Csi (la Comunità degli Stati Indipendenti, ente internazionale composto da nove delle quindici ex repubbliche sovietiche, cui si aggiunge il Turkmenistan). È il caso di Shalva Breus, uomo d’affari e collezionista, ideatore del Kandinsky Prize ed ex editore della rivista «Art Chronika», che ha acquistato all’asta uno storico edificio ospedaliero di metà Ottocento nel centro di Tbilisi, in Georgia, con l’idea di farne in un museo di arte moderna.

Negli ultimi due anni la Fondazione per l’Arte, la Scienza e lo Sport di Alisher Usmanov ha avviato attività su larga scala in Uzbekistan: un programma per preservare il Modernismo a Tashkent, il restauro del Palazzo Romanov, un progetto per lo sviluppo e la ricostruzione di un museo d’arte locale, e molto altro ancora. E ora l’Uzbekistan ha chiesto all’Ue di revocare le sanzioni contro il miliardario.

Un particolare di «We Sit Starving Amidst Our Gold» (2013), di Jeremy Deller: un redivivo William Morris scaglia fuori dalla laguna veneziana lo yacht di Roman Abramovic. Il dipinto era esposto nel Padiglione britannico della 55ma Biennale di Venezia. Foto Jeremy Deller

Redazione GDA, 17 gennaio 2023 | © Riproduzione riservata

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