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I profeti del moderno

Lidia Panzeri

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Giandomenico Romanelli è il curatore della mostra «I Nabis, Gauguin e la pittura italiana» (catalogo Marsilio) a Palazzo Roverella dal 17 settembre al 17 gennaio

«La camicia bianca» di Oscar GhigliaI punti di convergenza tra i due protagonisti della stagione di Pont-Aven, in Bretagna, Gauguin e Van Gogh, sono più d’uno, compresa la tragica conclusione della loro esistenza. Questo senza nulla togliere alla validità della loro esperienza estetica, all’insegna di una pittura sintetica dai colori accesi, dalle superfici piatte e dai contorni sottolineati da linee decise. «Il tutto in antitesi, spiega Romanelli, alla rappresentazione realistica della natura degli impressionisti e dei loro epigoni. Perché per Gauguin la natura è una ricostruzione mentale, una percezione soggettiva che ha come “pietra angolare” il “Talismano”, dipinto su una scatola di sigari da Paul Sérusier».

La mostra, promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, riunisce un centinaio di opere, con nomi classici ma anche con opere inedite di Maurice Denis o di Sérusier e autori poco frequentati quali gli svizzeri Félix Vallotton con «Due nude che giocano a dama» (1897) e Marius Borgeaud. L’anno di svolta è il 1888 quando Gauguin si stanzia a Pont-Aven e insieme al ventenne Emile Bernard enuncia i canoni della nuova estetica.

I  nuovi soggetti sono in origine individuati nel paesaggio con l’icona del covone, nelle dure condizioni di vita della popolazione bretone o nelle tradizioni popolari. Una temperie culturale che trova, l’anno successivo, una declinazione mistica con risvolti anche esoterici nei Nabis (il termine ebraico per profeti), con Denis e Sérusier quali protagonisti. Siamo all’origine della modernità, con ricadute anche sul movimento Fauve, sull’Espressionismo e sull’arte astratta, movimenti che trovano una loro circolazione, a livello europeo, nelle prime biennali veneziane.

E a Venezia, o meglio, nella laguna di Burano assimilabile alla Bretagna, gli interpreti del nuovo credo sono Gino Rossi e Arturo Martini di cui sono riproposte incisioni su ceramica a soggetto erotico, appartenenti a Ca’ Pesaro. Quest’ultimo museo fu una fucina di nuovi talenti come Tullio Garbari e Umberto Moggioli, coinvolti nel clima dell’epoca come lo stesso Felice Casorati con la sua «Bambina che gioca su un tappeto rosso» del 1912. Le ricadute si prolungano nel tempo in Cagnaccio di San Pietro. L’epigono di una stagione tanto felice è Oscar Ghiglia, con i suoi interni borghesi.

Lidia Panzeri, 10 settembre 2016 | © Riproduzione riservata

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