I politici al Reina Sofía: stop al direttore dopo 15 anni?

Ha completamente riconfigurato e reso indipendente il grande museo spagnolo e ora Manuel Borja-Villel termina il suo secondo mandato. Ma per il terzo rinnovo dovrà vedersela con gli appetiti della politica

Il cortile interno del Centro Reina Sofia
Roberta Bosco |  | Madrid

Il 19 gennaio Manuel Borja-Villel (Buriana, 1957) lascerà la direzione del Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid, la nave ammiraglia del sistema museale spagnolo. Dopo aver diretto il Museu d’Art Contemporani de Barcelona (Macba), Borja-Villel è stato nominato nel dicembre 2007 attraverso un concorso pubblico, il primo frutto del Codice di Buone Pratiche approvato quello stesso anno dal Ministero della Cultura con l’accordo di tutti gli operatori del settore (associazioni di artisti, galleristi, direttori di musei, curatori...) e caratterizzato dalla volontà di trasparenza e di indipendenza dalle pressioni della politica e del Governo di turno.

Secondo quanto ha previsto il bando di concorso, dopo due rinnovi dell’incarico (per un periodo di 15 anni in totale) il contratto termina e il direttore deve ripresentare la sua candidatura al Patronato (che guida il Reina Sofía) e a una giuria internazionale. In un comunicato del 28 novembre il Patronato ha reso noto che le norme del bando saranno pubblicate l’1 febbraio, momento in cui si conosceranno anche le fasi del processo di selezione e la giuria a cui sarà affidato.

Nonostante la nomina di Borja-Villel nel dicembre 2007 sia stata segnata dalla trasparenza e il suo operato sia giudicato di grande qualità, le polemiche infuriano già da settimane. Le lobby che proliferano anche nel mondo dell’arte si sono attivate e rivendicano la loro quota di «potere». Il Reina Sofía è un’istituzione molto ambita e nel gioco entrano in campo anche le fazioni politiche, specialmente la destra che, di fronte all’indolenza della sinistra, pare ben conscia dell’importanza del settore artistico e di un museo così rilevante. Il dibattito si è acceso tra dubbi, sospetti e illazioni, ma si dice poco sull’operato di Borja-Villel e sulla necessità (o meno) che il suo mandato continui e soprattutto su ciò che davvero converrebbe al museo.

In generale, non è auspicabile che un direttore rimanga in carica troppo a lungo, ma per un centro le cui grandi dimensioni e caratteristiche non si prestano a programmi a breve termine, 15 anni non sembrano molti. Lo affermano i sostenitori di Borja-Villel, ricordando che Philippe di Montebello ha diretto il Metropolitan di New York per 30 anni e Nicholas Serota la Tate per 28. Per una Kunsthalle sarebbe impensabile, ma non per un museo che Borja-Villel ha ereditato letteralmente a pezzi, senza un’identità ben definita, legato a doppio filo alla politica, con una collezione da riconfigurare e una gestione caotica (si è arrivati addirittura a perdere un’opera di Richard Serra di 38 tonnellate...).

In questi anni, al di là di un programma di mostre ed eventi temporanei che ha offerto una panoramica a 360º della creazione contemporanea internazionale con una visione postcoloniale e inclusiva e una nuova lettura dell’arte della seconda metà del XX secolo, incrementando la presenza di donne sia nelle mostre sia nelle acquisizioni, Borja-Villel ha portato a termine iniziative di grande importanza e successo. In primis la Legge di Autonomia (2011), che ha allentato i legami del Reina Sofía con il Ministero della Cultura e ha dotato il museo di un’agilità amministrativa fino ad allora impensabile. Nel 2012 ha creato la Fondazione internazionale Reina Sofía per rafforzare i rapporti con l’America Latina, e in dieci anni ha ricevuto dai soci 22 milioni di euro per l’acquisto di opere.

Sul fronte della crescita della collezione, ha ottenuto importanti donazioni e promosso acquisizioni preziose, come l’Archivio Lafuente, composto da 130mila pezzi e costato 30 milioni. Oltre a ripensare la collezione e il suo allestimento, ha aperto una nuova area dedicata alle attività pubbliche (audiovisivi, arti vive, centro studi), coinvolgendo così nuovi segmenti di pubblico. Non si può negare che Borja-Villel abbia dotato il museo di una sua identità e di una stabilità, che gli hanno permesso di posizionarlo nel circuito dei grandi musei internazionali. Tutto questo lottando contro i tagli del budget che sono arrivati al 45%, tanto che la mancanza di personale di guardiania lo ha costretto a chiudere 59 sale. La buona notizia è che nel 2023 verranno assunti 136 guardiani a tempo pieno per poterle riaprire.

Come nel 2007, quando avviò la sua direzione, Borja-Villel non rilascia dichiarazioni che potrebbero inficiare la nuova selezione. E anche la scelta del silenzio non fa che alimentare le polemiche. I suoi detrattori lo accusano di collaborare con la Biennale di San Paolo invece di dedicarsi esclusivamente al museo o addirittura di fare «propaganda ideologica», quando presenta agli europei il lavoro di artiste come la guatemalteca Margarita Azurdia. Come qualsiasi cittadino spagnolo o straniero con i requisiti necessari, Borja-Villel potrà presentarsi a un concorso che si annuncia appassionante.

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