I libri sono supporti per le copertine
Undici artisti ebbero rapporti con Giorgio Manganelli, lo scrittore delle interviste impossibili che apprezzava i dipinti soltanto come «illustrazioni» di libri «inesistenti»

Il titolo è lo stesso di un articolo che Giorgio Manganelli scrisse per la rivista «FMR», nella rubrica Salons, che nell’87 lo stesso Franco Maria Ricci raccolse in un fastoso volume (riedito nel 2000 dal main publisher Adelphi).
Era dedicato alla pittura surrealista accusata di essere «letteraria», in particolare a Paul Delvaux. Con suo tipico «gambetto» retorico Manganelli faceva sua l’accusa, ma in positivo: quei dipinti erano «illustrazioni», ma appunto di libri «inesistenti», mai (o forse non ancora) scritti. Altrove si diceva soddisfatto di libri esistenti, quelli a lui attribuiti, ma solo in quanto «supporti per le copertine».
Un paradosso adeguato a quegli artisti che ardirono la hybris di «illustrare» un libro considerato «astratto» come l’opera prima di Manganelli, Hilarotragoedia, pubblicata nel 1964 (ce ne sono tre in mostra: i semi-dimenticati ma interessanti Franco Nonnis e Giovanna Sandri, che col Manga aveva avuto un tormentato affair, e Gastone Novelli, che all’apparire del libro compose ben ventitré tavole: qui per la prima volta esposte e catalogate insieme grazie all’acribia di Paola Bonani).
In generale la mostra «Illustrazioni per libri inesistenti. Artisti con Manganelli» (catalogo Electa) al Museo di Roma in Trastevere dal 22 settembre al 7 gennaio 2024 a cura di chi scrive, segue il palinsesto della sezione «Esigui e iracondi» degli scritti manganelliani sulle arti che ho raccolto quest’anno per Adelphi, «Emigrazioni oniriche» (cfr. l’articolo a p. 85), nel quale ricostruisco i rapporti dello scrittore con gli artisti del suo tempo (nella postfazione al volume adelphiano, dove si parla pure di Gina Pane e Gino De Dominicis, un po’ sacrificati, ma qui restituiti al centro della scena).
Oltre ai tre citati, gli furono vicini (in mostra ci sono lavori commentati da Manganelli, o esposti nelle occasioni in cui intervenne lo scrittore) Gianfranco Baruchello, Achille Perilli, Giosetta Fioroni e Toti Scialoja (ma nel ’78 Manganelli approntò un lungo testo anche sull’«ironia teologica» dei bozzetti di Lucio Fontana per la Quinta porta del Duomo di Milano); ai quali si aggiungono Fausto Melotti e Carol Rama, scoperte tardive ma rapinose, e il selenita Luigi Serafini coi suoi Pulcinella: una triccheballacchesca conversazione con lui conclude il catalogo della mostra.
Una parola, appunto, sul catalogo. Se lo si è potuto realizzare, come la mostra del resto, è stato per la generosità di Electa e del Comune di Roma, che hanno sostenuto un progetto fuori dalle consuetudini del mercato espositivo (preziose pure le risorse del Ministero della Cultura al Comitato per il centenario di Manganelli, caduto lo scorso 15 novembre). È un volume della collana «Pesci rossi» che si avvale dei saggi innovativi, oltre che della citata Bonani (l’Archivio Novelli ha seguito il progetto sin dall’inizio), di Maria Grazia Messina e Chiara Portesine.
In appendice sono riprodotte le conversazioni, e i ritratti incrociati, che si scambiarono Manganelli e Lea Vergine: la quale ebbe il merito negli anni Ottanta, con «L’altra metà dell’avanguardia», di riagganciare il suo amico «funambolo» all’arte del suo tempo. Alla sua memoria, come a quella degli altri amici, del Manga e miei, Marianne Schneider e Marco Vallora, mostra e libro sono idealmente dedicati.