I Farnese, il potere dell’arte e della bellezza

Il rinnovato Complesso della Pilotta ospiterà da marzo una grandiosa mostra (oltre 300 prestiti internazionali) sulla committenza della casata, la cui straordinaria affermazione nell’Europa dal Cinque al Settecento vide nelle arti uno strumento di legittimazione

La «Messa di San Gregorio» (particolare), mosaico di piume su legno eseguito in Messico nel 1539 dagli Indios per ringraziare Paolo III della bolla Sublimis Deus. L’opera è per la prima volta in Italia dal Musée des Amériques di Auch, in Francia. Credito fotografico: Musée des Amériques, Auch
Giovanni Pellinghelli del Monticello |  | Parma

È stata presentata il 3 febbraio la mostra «I Farnese. Architettura, Arte, Potere» fra i progetti di Parma Capitale della Cultura 2020+21 e realizzata dal Complesso Monumentale della Pilotta in collaborazione con Università degli Studi di Parma, Museo e Real Bosco di Capodimonte, Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Archivio di Stato di Parma.

A venticinque anni dall’ultima esposizione «farnesiana», la Pilotta ospiterà, dal 18 marzo al 31 luglio, la fastosa esposizione dedicata alla committenza della famiglia Farnese, con l’obiettivo d’indagare la straordinaria affermazione della casata nella compagine politica e culturale europea dal Cinque al Settecento attraverso l’innovativo e strategico utilizzo delle arti come strumento di legittimazione.

Una vocazione al bello e all’artistico perfino naturale, viene da dire, per una famiglia della piccola nobiltà feudale del Lazio (fino a fine Quattrocento estranea ai giochi del potere pontificio), che, al di là delle innate ambizioni culturali e dei propri innegabili valori personali, trovò nella bellezza (quella del giovane cardinale Alessandro Farnese poi papa Paolo III e soprattutto quella della sorella Giulia, detta nella Roma del primo Cinquecento «La Bella» per antonomasia e amata con passione irrefrenabile dal «più carnale homo» dei suoi tempi: papa Alessandro VI Borgia) la chiave evolutiva della sua ascesa politica fino ad assurgere al rango di principi sovrani protagonisti dello scacchiere politico italiano ed europeo. E seppure tale bellezza fisica non si conserverà nei successivi discendenti, l’aspirazione all’ideale estetico come affermazione della propria virtù politica e di stirpe rimase costante nelle vicende familiari.

Fu così che le collezioni d’arte e antichità classiche dei Farnese rivaleggiarono da Parma e Piacenza con quelle dei Medici a Firenze, della Celeste Galleria dei Gonzaga a Mantova e delle raccolte degli Este a Ferrara e poi (seppure queste impoverite dalla remissione dell’avito ducato allo Stato Pontifici) a Modena. E fu un susseguirsi di generazioni di duchi, cardinali e principi cadetti tutti appassionati d’arte e d’architettura che, seppure sempre meno belli, obesi e malandati in salute, seppero con forza tramandare un patrimonio inenarrabile.

Ricchezza inestimabile d’arte e cultura di cui però, all’estinguersi mascolino della dinastia, Parma fu sfortunatamente in gran parte deprivata dai giochi della diplomazia perché Carlo, erede dell’ultima Farnese Elisabetta (Regina di Spagna e vero canto del cigno del dinastia), diventando da primo borbonico Duca di Parma e Piacenza primo borbonico Re di Napoli e Sicilia, gelosissimo di quei tesori, li volle con sé a Napoli sua nuova capitale, sottraendoli così al fratello Filippo successore  e al Ducato parmigiano.

Curato da Simone Verde con Bruno Adorni, Carla Campanini, Carlo Mambriani, Maria Cristina Quagliotti, Pietro Zanlari, l’approccio scientifico ha il pregio di una doppia novità: trattare i temi del collezionismo rinascimentale con gli strumenti della «storia globale» e quindi in ottica squisitamente warburghiana, e includere nel mecenatismo della famiglia anche le importanti fabbriche architettoniche. La rassegna presenterà perciò oltre 300 opere provenienti da collezioni pubbliche e private, italiane ed europee insieme a opere della Collezione Farnese a Parma, con opere di Raffaello, Tiziano Vecellio, El Greco e Annibale Carracci.

L’esposizione avrà come ideale scenario gli ambienti più spettacolari del Complesso Monumentale della Pilotta, esso stesso voluto dai primi duchi Farnese, appena avviato da Pierluigi (l’unico Farnese forse non appassionato d’arte e di classicità), incrementato da Ottavio (che fece costruire il «Corridore» che lega il vecchio Palazzo Ducale all’antica Rocchetta Viscontea e che costituisce l’asse portante del complesso) e ripreso dal 1602 al 1611 e poi dal 1618 al 1622 da Ranuccio I, duca spregiudicato e spietato e uomo ombroso e oscuro così come cupa e scontrosa è per lo più questa reggia incompiuta (per pecunia di fondi) che ebbe a modello l’ancor più lugubre Escorial di Filippo II di Spagna.

La mostra sarà dunque allestita nei più eleganti e ariosi degli ambienti (alcuni rivisitati e ingentiliti da Filippo I di Borbone): i Voltoni del Guazzatoio (cortile interno atto a trasformarsi in bacino d’acqua per le allora tanto popolari naumachie ma dove fin dai tempi iniziali della corte farnesiana si giocava alla «pelota», da cui il nome della reggia), il mirabile, preziosissimo Teatro Farnese, la Galleria Petitot della Biblioteca Palatina e la Galleria Nazionale, e s’inserirà nel più ampio progetto di rilancio della Pilotta, che nel 2022 inaugurerà la totalità dei suoi spazi restaurati e riallestiti.

Una serie di pubblicazioni di Electa approfondisce con contributi dei maggiori studiosi al mondo di questo tema la storia del collezionismo farnesiano e le complesse vicende della committenza artistica e architettonica dei duchi di Parma e Piacenza.

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