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Un ritratto fotografico di Hercule Florence

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Un ritratto fotografico di Hercule Florence

Hercule, il nuovo Robinson

Un mostra a Villa Paloma a Monaco ripercorre la straordinaria vicenda di un pioniere della fotografia (parola che lui usò prima di Daguerre)

Chiara Coronelli

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Monaco. La fotografia ha avuto molti padri, e l’Europa come culla. Eppure qualcosa si è mosso anche lontano dall’eco di quello che stava accadendo nel vecchio continente, in vista della nuova arte. È quanto racconta «Hercule Florence. Le Nouveau Robinson», la bella mostra allestita fino all’11 giugno nella sede di Villa Paloma del Nouveau Musée National de Monaco. Le oltre quattrocento opere esposte, tra disegni manoscritti stampe e oggetti, sono il risultato di una ricerca che ha visto i curatori Linda Fregni Nagler e Cristiano Raimondi immersi per cinque anni nell’archivio di Hercule Florence, di proprietà delle eredi, e ora finalmente riordinato inventariato e digitalizzato, per un totale di quasi duemila schede. Nato a Nizza nel 1804 da famiglia monegasca, nel 1823 Florence raggiunge il Brasile con l’idea di fare il giro del mondo, ma una volta sbarcato a Rio de Janeiro, non lascerà più il Paese fino alla sua morte nel 1879. A un anno dal suo arrivo, parte come disegnatore al seguito di una spedizione scientifica in Mato Grosso, affidata al naturalista Georg Heinrich von Langsdorff, e voluta dallo zar Aleasandro I di Russia. Ben 17mila chilometri percorsi in cinque anni per raccogliere informazioni sulle specie animali e vegetali, e sulle popolazioni indigene della regione amazzonica. È suo il compito di disegnare mappe e paesaggi, e di redigere un diario, ed è lui il solo che sopravviverà a un viaggio finito in tragedia, vittima anche il barone von Langsdorff, che perde la ragione per le febbri malariche. Florence riesce a tornare e a far arrivare la documentazione all’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo, dove sarà dimenticata per oltre un secolo.

Figura a cavallo tra Romanticismo e Illuminismo, come spiega la curatrice, Florence è stato un umanista, topografo, esploratore, inventore, sperimentatore instancabile, pioniere della fotografia (è stato lui il primo al mondo a usare questa parola, in una nota del 1833); ideatore di un sistema per la riproduzione meccanica di documenti che è antenato della fotocopiatrice; e persino di una tecnica di registrazione del verso degli animali che lui chiama zoofonia e che ora conosciamo come bioacustica, per la quale lui si serviva del pentagramma. È durante la spedizione che si mette ad armeggiare con la camera oscura portatile, se ne serve per trascrivere il nuovo mondo in illustrazioni che vorrebbe riproducibili, perché non solo vuole fermare i contorni di quella natura vergine sulla lastra di vetro, ma è in cerca di un metodo per copiare i documenti all’infinito. Corre su un sentiero parallelo e isolato rispetto alle ricerche di quegli anni in Europa, e si butta in esperimenti che poi documenta in manoscritti e  appunti che riportano nel vivo delle indagini che, se da un lato lo portano a «mettere a punto un sistema di stampa calcografica, portatile e maneggevole, che lui chiamerà Poligrafia», come spiega Linda Fregni Nagler, dall’altro gli rivelano il potenziale del nitrato d’argento, dei fissativi, fino a permettergli di «impressionare fogli di carta sensibilizzata con soggetti che in realtà aveva disegnato su lastra», in quella che lui definisce «Photographie, ou imprimérie à la lumière». Quando il primo maggio del 1839 il giornale locale di Rio riporta l’annuncio dell’invenzione di Daguerre, lui non può non replicare e sei mesi più tardi dalle pagine del giornale di São Paulo dichiara che stava lavorando già da nove anni a un metodo di stampa fotografica e che questo lo aveva condotto prima all’invenzione della poligrafia e in seguito alla scoperta di come «fissare le imagini in camera oscura attraverso l’azione della luce», così risponde Florence, per concludere «io non contesterò le invenzioni di nessuno perché la stessa idea può venire a due persone, e perché ho sempre considerato le mie trovate incerte». Due mesi dopo, la sua risposta viene ristampata a Rio e nella prefazione del giornalista si legge: «Lasciamo che i lettori confrontino le date e che decidano se il mondo deve la scoperta della Fotografia, o quantomeno della Poligrafia, all’Europa o al Brasile».

L'appunto del 22 ottobre 1833 in cui Hercule Florence parla di «Photographie ou Impression à la lumière»

Etichette da farmacia «fotocopiate» da Hercule Florence tramite il contatto diretto con carta fotosensibile esposta ai raggi solari, 1833 ca

Un ritratto fotografico di Hercule Florence

Chiara Coronelli, 20 aprile 2017 | © Riproduzione riservata

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Hercule, il nuovo Robinson | Chiara Coronelli

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