Gli Usa rientrano nell’Unesco (per paura della Cina)

L’amministrazione Biden valuta la possibilità, nonostante il debito di oltre 616 milioni di dollari e le controversie su Israele-Palestina. L’uscita nel 2019 era stata provocata dall’ammissione della Palestina come Stato membro

La 37ma sessione della Conferenza generale dell’Unesco del 2013 nel quartier generale parigino. Foto Cancillería del Ecuador
Vincent Noce |

A più di quattro anni dalla loro uscita, gli Stati Uniti potrebbero rientrare nell’Unesco, l’organismo delle Nazioni Unite per la cultura e l’istruzione. Un articolo dell’Omnibus Appropriations Bill da 1.700 miliardi di dollari, approvato dal Congresso americano il 22 dicembre (che stabilisce i fondi per il Governo federale degli Stati Uniti per il resto dell’anno fiscale), spiana la strada all’amministrazione Biden per rientrare e finanziare l’Unesco e per pagare l’enorme debito accumulato negli anni con le quote di adesione annuale non pagate.

La rottura più recente tra l’Unesco e gli Stati Uniti, suo principale finanziatore, è iniziata il 31 ottobre 2011, quando la stragrande maggioranza dei suoi membri ha accettato la Palestina come Stato membro. L’amministrazione Obama non ha avuto altra scelta se non quella di attenersi a una legge del 1990 che vietava di finanziare qualsiasi organismo internazionale che riconoscesse il Paese come Stato indipendente. L’improvviso taglio ha mandato in tilt l’agenzia delle Nazioni Unite, che si occupa di programmi internazionali legati alla cultura, all’istruzione, alla scienza e alla comunicazione.

Gli Stati Uniti rappresentavano il 22% del suo budget, pari a circa 80 milioni di dollari all’anno. La polemica è divampata nuovamente nel luglio 2017 con l’inclusione della Città vecchia di Hebron e della Tomba dei patriarchi come sito «palestinese» nella Lista del patrimonio mondiale in pericolo dell’Unesco. Tuttavia, il presidente Obama non si è spinto fino all’abbandono ufficiale, mantenendo anche un seggio nel Consiglio esecutivo dell’Unesco (finora gli Stati Uniti hanno mantenuto la partecipazione ai programmi di maggior successo, come il Patrimonio mondiale e la Commissione oceanografica intergovernativa).

Il ritiro formale è avvenuto allo scoccare della mezzanotte del primo gennaio 2019, quando il presidente Donald Trump ha denunciato i «pregiudizi anti israeliani». Israele ha seguito l’esempio. Nel dicembre 2020, gli Stati Uniti dovevano all’Unesco circa 616 milioni di dollari di quote associative non pagate.

L’articolo adottato nel dicembre 2022 dal Congresso concede una deroga alla legge del 1990. Lo scorso aprile, il segretario di Stato Anthony Blinken ha invocato questa mossa di fronte ai legislatori dicendo che: «Quando non siamo al tavolo a contribuire a plasmare le norme e gli standard» per temi come l’istruzione o l’intelligenza artificiale, «lo fa qualcun altro. E quel qualcun altro probabilmente è la Cina». Ha anche rivelato che Israele non si opporrà alla decisione americana.

Con un contributo di 65 milioni di dollari su un bilancio di 500 milioni, la Cina è diventata il principale finanziatore dell’Unesco. Riconoscendo la sua importanza, nel 2018 il posto di vicedirettore generale dell’Unesco è stato assegnato a un diplomatico cinese, Xin Qu. Nello stesso anno, Audrey Azoulay ha scelto la Cina per la sua prima visita ufficiale come direttore generale dell’Unesco, organizzando un incontro «storico» con il presidente Xi Jinping. Una fonte diplomatica europea che desidera rimanere anonima ci ha riferito che diverse delegazioni occidentali si sono opposte al previsto trasferimento da Ginevra a Shanghai dell’International Bureau of Education, l’organismo dell’Unesco che si occupa della definizione dei programmi di studio, preoccupate dalla mancanza di libertà accademica nel Paese.

Quando è stata eletta direttore generale nel 2017, Azoulay, ex consigliere culturale del presidente francese François Hollande, ha affermato che «gli Stati Uniti non sono l’alfa e l’omega dell’Unesco». Ma, preparando la sua rielezione nel 2020, ha elogiato i «legami storici» tra l’organizzazione e l’America. La nuova deroga degli Stati Uniti scadrà il 30 settembre 2025, a meno che non venga rinnovata dal Congresso. Qualsiasi procedura di adesione dovrà essere sottoposta alla prossima Conferenza generale dell’Unesco, nel novembre 2023, per non parlare dei negoziati sul rimborso del debito. Sia l’Unesco che l’Ambasciata statunitense a Parigi (dove l?unesco ha sede) hanno rifiutato di commentare.

Se gli Stati Uniti rientrassero nell’Unesco, sarebbe il loro secondo ritorno nella storia dell’organizzazione. Nel 1984, durante gli ultimi anni della Guerra Fredda, l’Amministrazione Reagan si ritirò accusando l’Unesco di pregiudizi antioccidentali sotto l’influenza dei Paesi in via di sviluppo. Nel 2002, il presidente George W. Bush annunciò il rientro del Paese nell’Unesco, in un momento in cui stava «corteggiando» i suoi alleati prima dell’invasione dell’Iraq.

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