Gli Ittiti gloria turca dai tempi di Atatürk

Stranamente la civiltà ittita, popolarissima in Turchia, è ancora poco conosciuta e divulgata in Italia sebbene la sua scoperta sia stata confermata oltre un secolo fa

La Porta dei Leoni delle mura urbiche nell’antica città di Hattusa
Stefano de Martino |

In occasione della pubblicazione del ponderoso volume Handbook Hittite Empire. Power Structures (500 pp., 50 ill., de Gruyter Oldenbourg, Berlino 2022, € 129) l’autore Stefano de Martino dell’Università di Torino illustra l’importanza della civiltà ittita ancora poco nota al grande pubblico ma al centro di ricerche e studi dalla dimensione internazionale e interdisciplinare. Proprio dalla collaborazione tra ricercatori con competenze diverse e di differente nazionalità (Italia, Turchia, Germania, Stati Uniti e Finlandia) è nata questa monografia con saggi che offrono un aggiornamento su tutti gli aspetti relativi al mondo ittita, dalla documentazione scritta nelle varie lingue e scritture in uso nell’impero, alla struttura politica, amministrativa ed economica dello Stato, alle relazioni internazionali, alla religione, alle modalità di comunicazione del potere attraverso l’edificazione di possenti strutture architettoniche, monumenti e raffigurazioni del sovrano. L’auspicio è che questo volume di carattere scientifico apra la strada a opere di divulgazione che avvicinino anche il pubblico italiano alla conoscenza del «popolo delle rupi».

La civiltà ittita è ancora una delle culture antiche meno note al pubblico italiano. Eppure, gli Ittiti hanno dato vita a un grande regno che ha dominato per 500 anni su una regione molto vasta corrispondente al territorio dell’attuale Turchia e di gran parte della Siria. Questa civiltà aveva attirato l’attenzione di Kurt Wilhelm Marek, autore con lo pseudonimo di Ceram del ben noto libro Civiltà sepolte, che scrisse il primo pioneristico volume divulgativo sugli Ittiti, The Secrets of the Hittites, apparso in italiano nel 1955 con il titolo Il libro delle rupi. Alla scoperta dell’impero degli Ittiti.

Settant’anni fa conoscevamo molto poco di questa civiltà, scoperta all’inizio del Novecento dagli scavi archeologici nel sito di Boğazköy, dove si trovano le rovine dalla capitale ittita, l’antica città di Hattusa, nella Turchia centro-settentrionale. Dopo oltre un secolo di indagini archeologiche Hattusa è stata riportata alla luce quasi integralmente. Con i suoi 160 ettari di estensione e una possente cinta muraria lunga ben sette chilometri era una delle più grandi città del Vicino Oriente nel II millennio a.C.
Una visione aerea della città di Hattusa
Nel 1986 Hattusa è stata inserita dall’Unesco tra i siti facenti parte del Patrimonio Mondiale dell’Umanità e il Governo della Repubblica di Turchia, in collaborazione con la missione archeologica tedesca, l’ha resa un «open air museum» che attrae moltissimi visitatori da tutto il mondo. Altre città dell’impero ittita sono state scoperte negli ultimi decenni e la missione dell’Università di Bologna guidata da Nicolò Marchetti ha da alcuni anni riaperto lo scavo nella città di Karkemish (oggi Jerablus) in Turchia sud-orientale, dove nei primi anni del Novecento aveva operato una spedizione archeologica inglese diretta da Leonard Woolley e addirittura da Lawrence d’Arabia.

Gli Ittiti sono una gloria nazionale in Turchia, dove a partire dal tempo di Mustafa Kemal Atatürk essi sono parte integrante del «cultural heritage» turco e sono studiati fino dai primi anni di scuola. Essi sono ben noti anche in altri Paesi del mondo, come ad esempio in Germania, grazie al fatto che gli scavi di Hattusa sono sempre stati condotti dall’Istituto Archeologico tedesco. Tuttavia, l’interesse verso la civiltà ittita si manifesta anche in regioni molto lontane dal Mediterraneo, come ad esempio in Giappone, dove ha avuto grande successo un manga che ha per protagonista un ittita di nome Mursili.

La civiltà ittita meriterebbe di essere meglio conosciuta anche in Italia, perché sono molti gli aspetti d’interesse di questo popolo e del regno di Hatti. Era una realtà multietnica e multilinguistica, dove genti di lingua e tradizione diverse convivevano. L’amministrazione dello Stato utilizzava un sistema grafico cuneiforme di derivazione babilonese e le oltre 30mila tavolette cuneiformi rinvenute a Hattusa e in altri siti dell’Anatolia e della Siria offrono uno straordinario patrimonio documentario.

Tra queste tavolette particolarmente significativi sono i trattati internazionali siglati dal re ittita con altri sovrani del mondo di allora o con i re dei Paesi a lui subordinati. Il trattato concluso dal re ittita Hattusili III con il faraone Ramesses II dopo lo scontro militare avvenuto a Qadesh nel 1275 a.C. rappresenta uno dei più importanti documenti politici dell’antichità. Non è un caso che una copia della tavoletta del trattato di pace, il cui originale è conservato a Istanbul, sia esposta a New York nel Palazzo di Vetro del Segretariato delle Nazioni Unite. Essa è un simbolo di come la pace, conclusa tra due superpotenze, servisse ad assicurare benessere all’intero mondo.

Stefano de Martino è professore ordinario di Ittitologia presso l’Università degli Studi di Torino e direttore scientifico del Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino per il Medio Oriente e l’Asia

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