Gli insediamenti aflaj dell'Oman
Un osservatore privilegiato scruta il Patrimonio Mondiale

Nei grandi deserti della Penisola Arabica non sarebbe stato possibile realizzare insediamenti umani permanenti senza la realizzazione di complessi sistemi di ingegneria idraulica, che in questa regione prendono il nome di aflaj. Si tratta di sistemi di raccolta e distribuzione di acque sorgive o di falda, da cui dipende la vita degli insediamenti agricoli che per millenni hanno costituito l’unica alternativa alla vita nomade delle popolazioni della regione. ll termine arabo al singolare, falaj, significa «dividere in parti», perché queste infrastrutture idrauliche raccolgono le acque per suddividerle poi nei canali di irrigazione delle diverse parti delle oasi.
In Oman vi sono tre tipi di aflaj: «ghaili», «aini» e «daoudi». Gli aflaj «ghaili» e «aini» consistono in semplici dighe che deviano l’acqua dei wadi o dalle sorgenti di montagna verso gli insediamenti, in canali di superfice. Poiché il regime delle sorgenti è spesso irregolare, vengono anche costruite delle cisterne per raccogliere l’acqua necessaria nei periodi di siccità. Gli aflaj «daoudi», invece, sono vere e proprie opere di ingegneria idraulica, che permettono di raccogliere e di convogliare in modo permanente verso gli insediamenti di pianura le acque sotterranee che si raccolgono ai piedi delle montagne.
La costruzione di un sistema di aflaj «daoudi» è un’opera particolarmente complessa, che richiede sofisticate conoscenze tecniche, nonché un grande impiego di forza lavoro e una notevole capacità organizzativa. Per realizzare questi sistemi idraulici, è infatti necessario scavare un primo pozzo in corrispondenza del punto di raccolta delle acque sotterranee, un’operazione che richiede una conoscenza approfondita delle strutture geologiche locali.
Questo pozzo «madre», che può arrivare anche a profondità di 60 metri, viene rivestito di pietre legate da una malta a base di argilla cotta con legno di palma e poi ridotta in polvere, un composto impermeabile e di lunghissima durata, ancora oggi prodotto con metodi tradizionali. Dal fondo del pozzo, viene scavato un tunnel in direzione degli insediamenti.
A distanza regolare, per permettere la costruzione e manutenzione del sistema, vengono poi scavati altri pozzi verticali, che consentono l’estensione del tunnel per grandi distanze (il più lungo tunnel in Oman, il falaj Al-Malki, raggiunge i 15 chilometri). La bassa pendenza del tunnel (fino a un gradiente di 1:2500) consente una lenta discesa delle acque e un aumento graduale del flusso, dovuto alla immissione, per capillarità, di acque di falda.
Quando il tunnel attraversa zone rocciose non vi è bisogno di sostegni particolari, ma in zone di rocce friabili vengono costruite delle pareti laterali con mattoni o tronchi di albero di palma, che sostengono una volta o una lastra di pietra. Quando il percorso del canale incontra un ostacolo, vengono realizzati dei piccoli sifoni che consentono alle acque di oltrepassarlo.
Infine, un elemento importante del sistema sono i canali superficiali di distribuzione delle acque alle diverse colture e alle diverse strutture degli insediamenti, come le residenze, le moschee, le torri di guardia. Il successo di questi sistemi dipende soprattutto dal buon funzionamento della organizzazione sociale e economica che li sostiene, basata su regole comunitarie tradizionali amministrate da una figura nominata dal capo della comunità locale, il wakeel, aiutato da un tecnico, l’arreif e da una serie di addetti, gli areef.
I suoi compiti comprendono la raccolta dei fondi necessari per la manutenzione del sistema idraulico, la gestione della vendita delle quote di acqua e il controllo continuo della funzionalità del sistema. Per il calcolo delle quote di distribuzione delle acque, che è basato sulla durata del flusso, sono stati perfezionati dei sistemi di misura del tempo, con l’uso di meridiane di giorno e di osservazione del moto stellare di notte.
Anche se i sistemi di aflaj esistono in molte altre regioni del mondo, è in Oman che si trova la più alta concentrazione: ne sono stati inventariati oltre 4mila, di cui 3mila ancora in funzione. I cinque più importanti tra questi (Falaj Al Khatmeen, Falaj Al-Malki, Falaj Dari, Falaj Al-Muyassar, Falaj Al-Jeela) sono stati iscritti nella Lista del Patrimonio mondiale nel 2004. Non si conosce la datazione precisa della loro costruzione, anche se si pensa che i sistemi esistenti siano stati realizzati in epoca preislamica, a partire dal V secolo d.C. Tuttavia, scavi recenti hanno messo in evidenza l’esistenza di sistemi di irrigazione, più semplici, databili al III millennio a.C.
La tecnica degli aflaj è molto probabilmente stata inventata nella regione del Mar Caspio alla fine del II millennio a.C. e si è poi diffusa in Iran e in Mesopotamia, come mostrano resti archeologici risalenti ai regni assiri di Sargon II (722-705 a.C) e di Sennacherib (705-681 a.C). In Iran, dove vengono chiamati «qanats», questi sistemi idraulici ebbero grande diffusione tra il VI e il IV secolo a.C, soprattutto durante l’impero Achemenide (540-331 a.C).
In quell’epoca, l’Oman venne conquistato dai Persiani, e, a partire dal 226 d.C., venne integrato nel dominio dei Sassanidi, fino alla conquista araba nel VII secolo d.C. È certo quindi che la tecnica è stata importata dal mondo iranico, anche se ha avuto un proprio sviluppo autonomo in epoca islamica. In epoca romana, gli aflaj si diffusero anche in Siria e in Egitto, e successivamente, attraverso la Via della Seta, la tecnica si diffuse in Asia Centrale e nello Xinjiang. Sistemi simili, chiamati foggara, si trovano anche nel Nordafrica, in Algeria e Marocco.
La conservazione e manutenzione degli aflaj, che necessita di un lavoro intensivo, richiede un grande sforzo da parte delle comunità tradizionali. L’iscrizione nel patrimonio mondiale dell’Unesco ha assicurato la mobilizzazione di investimenti pubblici e facilitato l’opera di conservazione di questa straordinaria tecnica tradizionale.



