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Gli art advisor e gli acquisti delle banche

Franco Moro

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Ho letto con interesse l’intervento di Michela Moro dal titolo «Crostopoli: il binomio rischioso arte e banca» (cfr. n. 377, lu.-ago. ’17, p. 1) nel quale si affronta l’intricato argomento del collezionismo degli istituti di credito prendendo spunto dallo sconsiderato acquisto di opere d’arte che non hanno retto il confronto con i valori a distanza di pochi anni. L’episodio che ha coinvolto Veneto Banca e Popolare di Vicenza è quanto mai indicativo di procedimenti viziati da mancanza di professionalità degli specialisti assoldati per la consulenza nelle acquisizioni. Dice bene l’autrice dell’articolo che, nella maggior parte dei casi, le «collezioni bancarie sono state in generale composte con logiche casuali», quando ai vertici dell’istituzione non sussista una passione piuttosto che generici interessi speculativi.

L’articolo cita più volte il termine «art advisor», per definire una professione che racchiude forse molte professioni ma che non corrisponde e nulla possiede della profonda competenza insita nella determinante figura del conoscitore; passata ormai troppo in disuso, la connoisseurship è l’unica arma per evitare casi drammatici. Figlia della competenza visiva educata dopo anni di esperienza, del talento e delle qualità umane ed emozionali coltivate nella conoscenza culturale e storica, della pratica della materia in tutti i suoi aspetti, viene supportata da nozioni estetiche e di metodo che insieme costituiscono un filtro di ineguagliabile valore quando applicato con saggezza.

Studi di storia dell’arte sono stati possibili grazie alle intuizioni e all’applicazione di tale procedimento formativo dai grandi studiosi dell’Ottocento, da Cavalcaselle a Morelli, da Berenson a Friedländer, da Longhi a Zeri. Ma un accenno desidero spendere anche su come applicare una valutazione a un’opera d’arte quando questa è unica per sua natura. È giusto applicare valori di mercato suggestionati da mode passeggere per opere non di artisti contemporanei che hanno attraversato secoli? Chi dice che il valore del momento corrisponde a quello storico artistico? In altre parole, che Gentileschi o Guardi valgono meno di Jeff Koons o Damien Hirst, cioè di opere ripetitive e facilmente reperibili sostenute dal marketing? Forse il mondo dell’arte per troppi anni è vissuto nell’illusione di appartenere a un mercato più finanziario che artistico.

Franco Moro, 11 ottobre 2017 | © Riproduzione riservata

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