Gli archeologi vogliono l’«equo compenso»

80 euro al giorno invece di 200. Durante l’assemblea dell’Associazione Nazionale Archeologi si è parlato del disegno di legge ora in discussione: «Invece di tutelare i professionisti finisce per penalizzarli»

Archeologi al lavoro
Stefano Miliani |

In un’Italia dove il lavoro sottopagato per i giovani è pratica diffusa e dove troppi addetti alla cultura ricevono compensi umilianti, gli archeologi non rappresentano certo una felice eccezione. Infatti anche i ricercatori dell’antichità chiedono una norma sull’«equo compenso» per i liberi professionisti, quale la stragrande maggioranza degli archeologi è.

Lo ha rivendicato il VI congresso nazionale dell’Ana, l’Associazione Nazionale Archeologi, tenuto a giugno all’Ara Pacis di Roma. L’assemblea ha confermato Alessandro Garrisi, nella foto, alla presidenza e in una nota, dichiarandosi in sintonia con il presidente di Confprofessioni Gaetano Stella, è intervenuto sul disegno di legge in Senato numero 2419 ora in discussione: «Invece di tutelare i professionisti finisce per penalizzarli, contenendo molteplici clausole vessatorie: come l’ipotesi di nullità per pattuizioni in tema di anticipazione di spesa o la presunta corresponsabilità del professionista, nel caso in cui sia vittima di contratto professionale non congruo o iniquo».

«L’articolo 36 della Costituzione stabilisce il diritto del lavoratore a un compenso proporzionato, il disegno di legge giustamente vuole regolare questo principio, ma lo fa in maniera sbagliata», sostiene Garrisi. Cosa e dove sbaglierebbe il testo? «Se il professionista viene pagato poco la responsabilità diventa principalmente sua: sanziona chi lavora a tariffe troppo basse».

Per voi archeologi è una faccenda spinosa. «Il tariffario redatto dalla nostra associazione nel 2011, ancora valido, fissa che una giornata parte dai 200-250 euro a seconda delle mansioni. Invece ci sono archeologi che lavorano in media a 80 euro al giorno perché stritolati dal mercato. Siamo i primi a dire che le tariffe inique vanno rifiutate, ma c’è il guadagno netto di chi lo propone: riguarda tutti i professionisti e diventa cruciale per noi archeologi».

Qualche ente, riconosce il presidente di Ana, ha agito bene: «La Regione Lazio ha una normativa che garantisce che un professionista sia compensato equamente in proporzione al lavoro e non lo sanziona». In più, segnala, il mestiere negli ultimi 15 anni è cambiato drasticamente: «L’archeologo oggi fa molte attività che prima non esistevano. Per esempio interviene nella progettazione di lavori come gli ingegneri e i geometri, nella pianificazione regionale, nei piani urbanistici e altro».

Non è questa una conquista per la categoria? «», risponde Garrisi, ma segnala che qui si apre un altro fronte: «La progettazione è complicatissima, salvo eccezioni non viene insegnata, dobbiamo impararla sul campo. La formazione universitaria italiana è di altissimo livello, i nostri studenti sono i meglio formati, ma va integrata, senza snaturarla, magari con materie più tecniche. Ci vuole una convergenza tra la formazione universitaria e l’aggiornamento permanente delle associazioni e degli ordini di categorie. Come archeologi ne abbiamo l’esigenza».

© Riproduzione riservata
Altri articoli di Stefano Miliani