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Giustizia e Comitas su colofonia

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Arianna Antoniutti

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Il restauro delle pareti della Sala di Costantino terminerà nel 2020 in occasione dei 500 anni della morte di Raffaello

Da marzo 2015 è in corso il restauro della Sala di Costantino, cronologicamente l’ultima fra le Stanze di Raffaello in Vaticano, gli ambienti che il pittore iniziò ad affrescare per Giulio II nel 1508. Scomparso Raffaello nel 1520, la Sala di Costantino venne portata a compimento dai suoi collaboratori Giulio Romano e Giovan Francesco Penni. Ma dal restauro sono emerse rilevanti novità, illustrate da Barbara Jatta, direttrice dei Musei Vaticani: «Le fonti storiche ci annunciavano la presenza di Raffaello nella Sala di Costantino, ma solo grazie al restauro è stato possibile affermare con certezza che le due figure femminili della Comitas, l’amicizia, e della Giustizia, sono di mano dell’urbinate, che le eseguì con l’inusuale tecnica dell’olio su muro. Più che una scoperta, possiamo chiamarla dunque riscoperta, alla luce della quale Raffaello ci appare ancora di più in tutta la sua grandezza. Nella sua raffinatezza, il pittore, accantonando la tecnica dell’affresco, desidera eguagliare la perfezione cromatica della pittura a olio su tavola, trasportandone cangiantismi e vibranti cromie su muro. Il confronto stringente è sicuramente con la “Trasfigurazione” che si pone, assieme alle due figure femminili della Sala di Costantino, tra le sue estreme creazioni. Sappiamo difatti da Paolo Giovio che Raffaello inizia la decorazione della sala, per papa Leone X, nella primavera del 1519 e muore nell’aprile del 1520. Nel 2020 si celebrerà l’anniversario della sua morte e per quella data sicuramente sarà completato il restauro delle pareti della Sala, ma forse non sarà ancora ultimata la volta. Il progetto di restituzione al pubblico, infatti, non trascurerà nessun elemento: finestre, pavimentazione, basamento, volta. L’intero cantiere dovrebbe essere completato entro il 2021-2022. Quel che è certo è che, oltre alla nuova illuminazione a led, che già interessa le altre Stanze di Raffaello, stiamo lavorando in maniera fattiva alla climatizzazione delle stesse Stanze. Come pure pensiamo a una pubblicazione scientifica che racchiuda i risultati del presente restauro. Ricerca archivistica, studio storico artistico e restauro debbono andare di pari passo, supportarsi vicendevolmente, e altrettanto fondamentale è la divulgazione di quanto si è prodotto. È una parte della mia direzione a cui tengo molto. In questo momento, ad esempio, stiamo compiendo una ricerca in archivio per comprendere la composizione dei ponteggi al momento della realizzazione della decorazione parietale. L’autografia raffaellesca delle due figure femminili è certa e ulteriore prova è data dall’assenza dello spolvero, ma stiamo cercando di capire perché Raffaello volle eseguire proprio quelle due figure che vengono a trovarsi come punti angolari tra le scene della “Visione della Croce” e della “Battaglia di Ponte Milvio”». 

A Maria Ludmila Pustka, restauratrice capo del laboratorio di restauro dipinti dei Musei Vaticani, abbiamo chiesto i motivi della scelta della tecnica a olio per l’esecuzione delle due figure: «Raffaello si proponeva di fare qualcosa di nuovo, sicuramente di ambizioso, sperimentando una maniera pittorica che in quegli anni era stata assai raramente utilizzata. La risultanza di una tecnica così particolare, ottenuta stendendo il pigmento a olio su di un supporto, la colofonia, una cera particolarmente duttile, consente un effetto straordinario, dai colori cangianti e brillanti. Da grande maestro ha voluto sfidare le sorti della materia e lo ha fatto in modo consapevole. Abbiamo ragione di pensare che la sua intenzione fosse di realizzare l’intero salone in tal modo, sicuro di avere al suo fianco artisti che lo avrebbero affiancato in modo eccelso. Purtroppo la morte sopraggiunge e Raffaello lascia in eredità solo queste due figure che si trovano ai lati delle due pareti, a simboleggiare forse una misura, un campione da affidare ai propri collaboratori. I quali, non potendo probabilmente raggiungere ed eguagliare l’ambizione iniziale del maestro, si sono serviti del canonico affresco, pervenendo ad ogni modo a un mirabile equilibrio con le figure raffaellesche, grazie alla superficie pittorica contraddistinta da pennellate superficiali corpose, con numerose finiture a secco. Si tratta, nel complesso, di un restauro particolarmente difficoltoso a cui siamo giunti dopo uno studio preliminare sulla tipologia delle sostanze e delle tecniche utilizzate, supportati dal Gabinetto di ricerche scientifiche dei Musei Vaticani diretto da Ulderico Santamaria. Chiaramente, nel momento in cui abbiamo avuto la prima avvisaglia di qualcosa di differente nella tecnica, è stato necessario adeguare il metodo di restauro, anche perché, nell’andare a togliere sostanze sovrammesse su di una materia così delicata come l’olio, è necessaria una cura ancora più attenta».

Ci ragguaglia sui particolari tecnici del restauro, il capo ponte del cantiere Fabio Piacentini, responsabile del restauro di Comitas e Giustizia. «Queste figure sono realmente due capolavori, tra le ultime opere di Raffaello che, intellettualmente molto vivace, ha certo voluto offrire un suo contributo al dibattito tecnico che in quegli anni si svolgeva, in rapporto anche alla pittura veneziana e all’utilizzo della tecnica a olio. C’è però anche da considerare l’effetto estetico che desiderava raggiungere. Mentre le altre erano le stanze private del pontefice, questo era il salone di rappresentanza, l’impatto doveva essere chiaramente di grande rilevanza. Da questi presupposti potrebbe derivare la scelta di dipingere a olio, una tecnica che fornisce possibilità espressive impossibili con l’affresco, come gli effetti di trasparenza che vediamo, ad esempio, nella bilancia della Giustizia. Per quanto concerne il restauro, esistono differenze conservative tra le due superfici pittoriche, l’affresco ha una struttura più salda, mentre le stesure a olio possono “scivolare”. Abbiamo studiato in maniera approfondita, con l’ausilio del laboratorio di diagnostica, le sostanze che sono state sovrammesse nel corso dei secoli e si è deciso di utilizzare una pulitura assolutamente rispettosa dei materiali originali. Sono stati dunque individuati degli enzimi che agiscono selettivamente solo sulle colle che debbono essere rimosse».

Arianna Antoniutti, 10 ottobre 2017 | © Riproduzione riservata

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