Giuseppe Viviani, il principe di Bocca d’Arno

Sei sezioni cronologico-tematiche, con alcune opere inedite, compongono la mostra dedicata all’artista toscano nel Museo della Grafica

«Caffè Fappani» (1953) di Giuseppe Viviani
Laura Lombardi |  | Pisa

«I miei, più che segni provenienti da un arsenale del passato, sono note di una musica della mia anima di solitario cacciatore... Sì, voglio dire che tutto è mio, e il bagaglio che altri avevano io non conoscevo nemmeno» scrive in una lettera il pittore e incisore Giuseppe Viviani (1898-1965).

E di «colori dell’anima», Viviani parlava a proposito di un suo dipinto del 1941, «La zuppiera», caro a Giuseppe Mersica, che, come Sebastiano Timpanaro, Carlo Ludovico Ragghianti, Enzo Carli, Piero Chiara a Giovanni e Vanni Scheiwiller si interessarono alla sua arte.

È infatti questo il titolo scelto per la mostra al Museo della Grafica (palazzo Lanfranchi) fino al 25 giugno, a cura di Alessandro Tosi, dopo le ormai lontane antologiche del 1960 e del 1966 e dopo la mostra «Segni con l’odore del mare» del 2010 dedicata alla sola attività incisoria (per la quale nel 1929 era stato premiato alla Mostra Internazionale di incisione di Monaco di Baviera).

L’universo poetico di Viviani, che si espresse anche tramite la scrittura, e in versi, ha punti in comune specie a partire dagli anni Quaranta, con quello di Luigi Bartolini e soprattutto di Giorgio Morandi, per la particolare e silente concentrazione sugli oggetti e per la tecnica incisoria. Assai peculiare di Viviani è il tono malinconico che pervade i paesaggi (casolari di campagna e alcune marine che recano nella composizione echi di Carrà) e le nature morte.

Dagli anni Trenta la sua produzione si arricchisce di quadri di figure dai grandi occhi un po’ stralunati, che narrano di una vita di provincia, di bar e di botteghe con un tono fiabesco e surreale e si distinguono per colori più sgargianti. Tuttavia, anche nelle opere di tono più spento, la luce è sempre prevalente sull’ombra: «Il est toujours midi, chez Viviani» scriveva de Madiargues nel 1951.

La mostra del «principe di Bocca d’Arno» (così amava lui stesso definirsi ironicamente alludendo alla propria reticenza a viaggiare e a calarsi nel mondo), si articola in sei sezioni cronologico-tematiche con alcune opere inedite.

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