Alberto Biasi, «Quel Blu Genova che veste il mondo», 2020

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Alberto Biasi, «Quel Blu Genova che veste il mondo», 2020

Genova rivendica il primato del Jeans

Manuela Arata racconta la nuova manifestazione dedicata al celebre tessuto. In futuro anche un museo

Genova scommette su un progetto ambizioso, GenovaJeans, che unisce cultura, storia, arte, sostenibilità, innovazione, moda e turismo. Ideato da Manuela Arata, advisor per Innovazione e Tecnologia del sindaco, l’evento intende far conoscere i legami profondi del «blu di Genova» con la città. La prima edizione è in agenda dal 2 al 6 settembre.

ManuelaArata, lei ha ideato anche il Festival della Scienza che ha riscosso negli anni un enorme successo. GenovaJeans è qualcosa di più? 
Con questa manifestazione vogliamo far diventare Genova il polo internazionale della sostenibilità, per rafforzare il made in Italy del jeans, pensando anche al territorio, riqualificando la zona di Prè e inaugurando la nuova via del Jeans.

Com’è nata l’idea?
Me ne aveva già parlato nel 2007 Emilio Jacopino; l’ho poi presentata al sindaco Marco Bucci che l’ha accolta con entusiasmo. In occasione di un mio viaggio a Londra ho incontrato insieme a Francesca Centurione Boschieri (una degli ambasciatori onorari di Genova nel mondo), Ursula Casamonti di Tornabuoni Arte e abbiamo deciso di unire il jeans con l’arte contemporanea. È nata così la mostra «Arte Jeans», realizzata grazie al supporto del St. George’s Club, che raccoglie molti genovesi residenti nella capitale inglese, in collaborazione con la Fondazione Francesco Rava-NPH Italia, presentata in anteprima nel Museo di Villa Croce lo scorso autunno in occasione della mostra «Autunno Blu», curata da Anna Orlando e Francesca Serrati.

Una manifestazione innovativa e una mostra originale. Si parte dunque dall’arte?
Il jeans dimostra qui tutta la sua versatilità. Ventisei artisti hanno utilizzato e interpretato un tessuto jeans di 200x180 cm, offerto da Candiani Denim, partner della manifestazione. Opere di Emilio Isgrò, Alberto Biasi, Ugo La Pietra, Ugo Nespolo, Marco Lodola, ma sarebbe giusto citarli tutti, costituiscono il primo nucleo della collezione donata alla città di Genova, che adesso si arricchisce di 12 opere di artisti tra cui Claudia Losi, Vedovamazzei, Gabriele Picco e Cesare Viel; il nucleo di avvio del futuro Museo del Jeans.

Storia, arte, cultura, economia e turismo in senso circolare. Ci racconta il futuro museo?
Lo immaginiamo come un museo diffuso dove il jeans racconta bene le trasformazioni di Genova e della sua società nei secoli. Partiamo dal territorio, dai 14 «Teli della Passione» esposti nel Museo Diocesano, che si possono considerare antenati del jeans. Da qui il patrimonio si allargherà agli artisti contemporanei. Poi c’è la zona di via Prè, dove in passato il jeans veniva usato e venduto e dove durante i giorni di GenovaJeans sono previsti eventi, sfilate e incontri; ogni spazio commerciale esporrà jeans. Sarà un modo per riqualificare l’area, con l’intento di attrarre turisti. Penso solo che Genova nel 2019 ha avuto quasi due milioni di turisti e altrettanti croceristi. Questo nuovo hub vuole invogliarli a fare «experience» a Genova, nel centro storico.

Uno degli obiettivi di «Arte Jeans» è diventare un polo internazionale della sostenibilità.
Ci rivolgiamo anche alle aziende della moda e abbiamo coinvolto nel progetto un partner come Alberto Candiani, leader del denim dei jeans in Europa, Renzo Rosso di Diesel e l’agenzia di consulenza e comunicazione fondata da Livia Firth Eco-Age. Al centro vi è il tema della sostenibilità. Per il 2022 aspettiamo altre aziende del jeans made in Italy, per diventare il forum mondiale del jeans sostenibile. Vogliamo rigenerare il centro storico, partire dal passato, pensare al futuro, intervenire sul tessuto sociale, con un approccio basato su sostenibilità, inclusione e innovazione.


Anche Garibaldi vestiva in jeans (prima del brevetto Levi Strauss)
Il tessuto tra i più diffusi al mondo, di cui sono riconosciute le origini genovesi, attraversa la storia della città dal Medioevo ai giorni nostri. Presente anche nell’epopea garibaldina, la tela blu ha vestito le celebri Camicie Rosse, in primis Giuseppe Garibaldi, come ci tramandano le testimonianze iconografiche nelle raccolte del Museo del Risorgimento a Genova.

In occasione di GenovaJeans, la casa di Mazzini, dove ha sede il museo, apre con un focus dedicato alla curiosa notizia che Garibaldi, prima del brevetto del 1873 di Levi Strauss & Co per il moderno jeans in tessuto denim, indossava pantaloni che non possiamo che chiamare «jeans». La direttrice Raffaella Ponte presenta prove inconfutabili dell’utilizzo del jeans da parte di Garibaldi e dei suoi. In mostra anche un dipinto pressoché inedito del pittore genovese Antonio Caffarena, in cui l’Eroe dei Due Mondi è raffigurato con l’inseparabile poncho sopra la camicia rossa e un paio di jeans.

«L’occasione ci consente di ricordare il personaggio Garibaldi non solo come l’eroe romantico e l’audace condottiero, ma anche come uno dei più precoci esempi di celebrità dell’Ottocento, destinata a protrarsi e accrescersi nel secolo successivo, spiega Ponte; ciò non solo per le celeberrime gesta militari dell’eroe e dei volontari in camicia rossa, ma altresì grazie a quello che oggi chiamiamo “stile comunicativo”, di cui anche l’abbigliamento diventa parte.

Garibaldi comprendere il grande potenziale rappresentato dalle nuove forme di comunicazione, avvalendosi del contributo di scrittori e giornalisti, fotografi e illustratori: dalla promozione delle gesta proprie e dei valorosi volontari in camicia rossa al sostegno di cause politiche, sociali, ambientaliste ante litteram (una su tutte la protezione degli animali), fino a diventare egli stesso la prima moderna celebrità adottata quale testimonial eccezionale per raggiungere pubblici i più diversi».
 

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Bettina Bush, 01 settembre 2021 | © Riproduzione riservata

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