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Gatti, pecore, bambini paffuti

Sandro Parmiggiani

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Sculture monumentali, dipinti e disegni di Wal

Non sembra conoscere soste l’attività di Wal (Walter Guidobaldi): quella dedicata alla realizzazione di sculture e dipinti nella casa di Roncolo di Quattro Castella, dov’è nato nel 1949, e quella espositiva, che lo ha visto nell’ultimo anno impegnato in un fervore di mostre. A Milano, negli anni Settanta, Wal frequentò l’Accademia di Brera, dove ebbe come docenti, tra gli altri, Alik Cavaliere e Luciano Minguzzi, lavorò a ricerche di carattere concettuale pur senza mai recidere il legame con la pittura e imboccò una strada che lo portò a essere incluso nel gruppo i «Nuovi-nuovi», promosso da Renato Barilli, Francesca Alinovi e Roberto Daolio, nella mostra bolognese del 1980. La casa di Roncolo è, fin dal cortile antistante lo studio per le sculture (quello per i dipinti si trova al piano superiore) un bosco di opere; qui Wal lavora tutti i giorni alle sue sculture, realizzate in molti materiali (terracotta, ceramica, bronzo, vetroresina), spesso rivestite dei colori stesi personalmente dall’artista.

A volte, queste sculture incorporano frammenti di oggetti, in una sorta di divertente rivisitazione del ready-made: mattonelle di ceramica spezzate in frammenti, elementi quali gambe metalliche, sfere e altri solidi geometrici tratti dai più disparati oggetti di uso comune. Alcune sue sculture, anche monumentali, dopo avere soggiornato nell’estate e nell’autunno scorsi sul lungolago di Stresa, sono state presentate assieme a lavori nuovi o recuperati dallo studio (disegni su carta e dipinti su tavola) nella Galleria Radium Artis di Pietrasanta nei mesi di luglio e di agosto 2016 nella mostra «Sulle rive del Nilo», che pareva voler rimarcare una continuità tra le atmosfere del lago e quelle del mare.

Dal 15 ottobre a fine novembre, le opere di Wal entrano nella Galleria Parmeggiani, in stanze dove, per rispettare l’originaria sistemazione concepita dal collezionista che lo creò, è la penombra a regnare e a imporre all’occhio i necessari adattamenti. Fatta costruire da Luigi Parmeggiani (Reggio Emilia, 1860-1945) nel 1925-28, in uno stile ibrido che mescola guglie gotiche e impianto rinascimentale, il museo ospita la raccolta d’arte dell’anarchico reggiano, coinvolto in un attentato e fuggito nel 1889 a Londra dove frequenta Ignacio León y Escosura, mercante di oggetti d’arte e di arredi. I due approdarono a Parigi, dove gestirono una galleria antiquaria specializzata nella produzione di oggetti in stile antico ispirati al Medioevo e al Rinascimento. Ritornato nella città natale nel 1924, Parmeggiani portò con sé una vasta raccolta di oggetti (compresi armi e oggetti d’oreficeria), mobili, costumi, tessuti e dipinti (tra i quali il «Cristo Redentore» di El Greco) ceduti nel 1932, assieme alla Galleria che reca il suo nome, al Comune di Reggio Emilia in cambio di un vitalizio. Le opere di Wal, una decina, sono inserite nelle sale in un vis-à-vis assonante o dissonante con i dipinti e gli oggetti accanto a cui sono collocati. Tra le sculture di Wal ricordiamo i tre grandi gatti che fanno il bagno in un’antica vasca: seduti su una lastra di alluminio lucidato che diventa uno specchio riflettente, si ergono serafici a scrutare ciò che sta loro intorno. Figura poi una grande pecora su cui è issato un putto, uno dei soggetti più amati dall’artista.

Protagonisti di molte delle opere di Wal sono bambini paffuti, spesso su cuscini rigonfi, impegnati in giochi solitari o di gruppo, o in esercitazioni ginniche di destrezza, e animali, talora associati a un putto o autonomamente occupanti la scena: trofei di una memoria all’insegna dell’ironia e della fantasia, realizzati in un bianco monocromo o rivestiti di colori sfarzosi e squillanti che adornano anche le ardite strutture, talvolta in precario equilibrio, su cui sono installate. Il mondo di Wal si dipana davanti ai nostri occhi all’insegna di un’ironia giocosa, di una spensierata tenerezza, di una leggerezza della visione, come se le sue creature ci facessero inoltrare in un mondo rarefatto dominato dall’immaginazione libera, dal sogno a occhi aperti, dalla capacità di stupire e di stupirsi: una dimensione di un’infanzia perduta, della quale proviamo nostalgia.

Sandro Parmiggiani, 12 ottobre 2016 | © Riproduzione riservata

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