Frank Gehry: «Ho dipinto un Van Gogh»

L'architetto descrive LUMA Arles, una torre rivestita di 11.000 piastrelle scintillanti in acciaio inossidabile, influenzata dalla luce, dal paesaggio, dall'architettura storica, e da Vincent van Gogh

Maja Hoffman e Frank Gehry © Annie Leibovitz
Ben Luke |

Luma Arles è un campus creativo di 27 acri ad Arles, che riunisce artisti e innovatori del futuro. Quest'estate, la spettacolare Luma Tower progettata da Frank Gehry ha aperto le sue porte al pubblico con opere appositamente commissionate da importanti artisti di tutto il mondo. Ne abbiamo parlato direttamente con l'architetto.

Architetto Gehry, la Torre di LUMA Arles allude sia agli ambienti costruiti sia a quelli naturali intorno ad Arles. Come ha realizzato questa sintesi nell’edificio?

Ho risposto in maniera scultorea alla città. Ci sono due importanti strutture romane che si trovano vicino a LUMA Arles. Aveva senso rafforzare quell’estetica per creare l’ingresso e il foyer per l’edificio come un tamburo. Arles, inoltre, è circondata dalla catena montuosa delle Alpilles e questo crea un’immagine forte. Quando ho detto a Maja Hoffmann (la fondatrice e presidente della Fondazione LUMA, Ndr) di voler catturare la luce con la facciata dell’edificio, ho pensato a ciò che disse Van Gogh: «Coloro che non credono nel sole quaggiù sono veramente blasfemi». Non solo la luce; il sole era per lui un talismano. Penso che il senso della presenza di Van Gogh ad Arles sia sempre stato nei miei pensieri. Ho sempre continuato a pensare a com’era la luce per lui quando dipingeva in quella città. Con una luce «naturalistica» sono stato in grado di creare qualcosa che non fosse una singola immagine ma, piuttosto, qualcosa che catturasse più immagini in diversi momenti della giornata. Penso di avere raggiunto questo obiettivo...

Ha anche detto di esser stato influenzato dal dipinto «Notte stellata» (1889) di Van Gogh. In che modo?
«Notte stellata» è stata dipinta ad Arles ed è un’opera incredibile che tutti amiamo. L’edificio di sera si avvicina molto a catturare i colori di quel quadro.

Dato il riferimento a Van Gogh, e l’evocazione delle sue pennellate nelle piastrelle, l’edificio potrebbe essere descritto come pittorico?
Penso di essere sempre stato interessato a come la luce colpisce gli edifici e a catturare una «pennellata» molto pittorica nelle mie costruzioni. La luce è libera, ed è parte del mondo che è sempre intorno a noi. Catturarla è approfittare di un bene e approfittare di qualcosa che cambia continuamente.

Può descrivere il suo approccio ai materiali per l’edificio? Sembra essenziale che ci sia un’interazione tra trasparenza e opacità, effetti tangibili e intangibili.
Le parti in pietra dovevano essere solide: sono destinate all’archivio, ai depositi, agli ascensori, alle aree meccaniche e così via. Ho voluto racchiudere con blocchi di grandi dimensioni tutte quelle parti che non necessitavano di luce. Era difficile da realizzare, quindi abbiamo usato il cemento in modo che fosse una scala diversa dal metallo e dal vetro. Le solide facciate si riferiscono alla chiesa e alla scala dei vecchi edifici in pietra.

L’edificio ha molteplici usi. Può spiegare come ha provveduto alla sua gamma di attività?
Il progetto è stato concepito pensando alla massima flessibilità, pur nel contesto di una torre. All’inizio delle fasi di programmazione, il nucleo centrale di consulenti di LUMA ci ha informato che le nozioni contemporanee di spazi espositivi dovevano essere ampliate oltre i white cube che tipicamente definiscono gli spazi per l’arte. Il programma iniziale dell’edificio lo definiva come uno spazio per la ricerca, la produzione, l’esposizione, la formazione e l’archiviazione dell’arte in combinazione con altre discipline. Pertanto, gli spazi sono stati progettati per funzionare con molteplici usi. Le aule potrebbero anche essere gallerie, le biblioteche potrebbero essere spazi espositivi e gli spazi espositivi potrebbero essere utilizzati per eventi. Tutto ciò è stato reso possibile in gran parte degli spazi da sistemi di illuminazione flessibili che possono soddisfare sia i criteri rigorosi dell’illuminazione della galleria, sia l’illuminazione confortevole delle situazioni quotidiane; lo stesso vale per i sistemi di climatizzazione che potrebbero adattarsi a diversi situazioni e ai requisiti climatici di conservazione dei musei, per il controllo della luce diurna per ottenere in modo efficiente condizioni di blackout quando richiesto, sfruttando al contempo la luce del sole ad Arles quando era desiderabile la luce naturale. Infine abbiamo lavorato ai dispositivi acustici su soffitti e pareti per soddisfare le diverse condizioni che potrebbero presentarsi.

Con i suoi 56 metri, la Torre è un metro più bassa del campanile dell’edificio storico più alto di Arles, il Convento dei Cordeliers, ora Saint-Charles High School. È una coincidenza?
L’altezza è stata calcolata sulla base di studi dei punti vista da Les Alyscamps, il sito del patrimonio mondiale dell’Unesco adiacente alla nostra ex sede dell’edificio. Le idee che guidano l’altezza consentita sono state determinate dall’ABF (Les architectes des bâtiments de France, l’organismo che sovrintende al patrimonio storico francese, Ndr) per ridurne al minimo la visibilità dalla chiesa romanica.

Leggi anche:
Nella torre di Maja l’arte è biodiversa

© Riproduzione riservata
Altri articoli di Ben Luke