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Francesco Pantalone combatte la crisi e la nostalgia del Gattopardo

Giusi Diana

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La finestra del suo ufficio si apre su uno dei Quattro Canti nella barocca piazza Vigliena, la più scenografica di Palermo. Dal 2013 Francesco Pantaleone ha trasferito qui, in via Vittorio Emanuele, la sua galleria, la Francesco Pantaleone Arte Contemporanea, a due passi da quella che fu la sua prima sede aperta alla Vucciria nel 2003, sempre nel cuore del centro storico. 

Che cosa ha mantenuto del vecchio spirito di via Garraffello e che cosa è cambiato con la nuova sede?

Quella era una home gallery, dove lavoravo e vivevo. Mi sono lasciato alle spalle l’intimità e la quotidianità che avevo con le opere in quei luoghi che sono stati per molto tempo anche casa mia. Luoghi indimenticabili e importanti che hanno segnato alcune visioni mie e di tanti artisti che hanno conosciuto Palermo attraverso quel posto unico. Eravamo all’ultimo piano di Palazzo Ramacca, un sito di grandissimo fascino ma di difficile accesso, per certi versi era un’ascesa verso l’arte, quasi un percorso iniziatico, un luogo non così aperto alla città. A un certo punto ho iniziato a sentirlo come un limite. Nel nuovo spazio c’è una visione più razionale del lavoro, forse un po’ meno intima e quotidiana con le opere delle mostre passate. Qui mi sento a mio agio, c’è una bella energia che fa girare tutto in maniera migliore.

Come si costruisce un successo internazionale partendo da Palermo?

Curando i rapporti interpersonali con estrema autenticità, viaggiando e conoscendo le persone che più t’interessano, prendendoti cura di restituire loro una visione della città che è quella che io amo e conosco, ma soprattutto guardandole negli occhi, una cosa che mi ha insegnato mio padre che ha sempre voluto conoscere di persona i fabbricanti dei prodotti che poi lui vendeva nel suo negozio di articoli religiosi. A un certo punto, attraverso il passaparola, sono diventato il referente per chi veniva a Palermo: artisti come David Hockney, collezionisti, curatori, direttori di museo come sir Nicolas Serota, giornalisti di testate internazionali. Palermo è una città che suscita un grande interesse, ho iniziato a viaggiare di meno, perché il mondo aveva cominciato a venire qui. 

Quali sono gli artisti che l’hanno accompagnata in questi anni?

Stefania Galegati Shines, che dopo una residenza da me si è trasferita a vivere a Palermo, Loredana Longo, con la quale collaboro da dieci anni e ha inaugurato la sua quarta personale in galleria, Liliana Moro, di cui porto due disegni (che fanno parte della serie Underdog) tatuati sulla pelle, Ignazio Mortellaro, con il quale ho nuovi ambiziosi progetti, Per Barclay, che ama questa città quasi quanto me, Stefano Arienti, che dopo anni di amicizia e collaborazioni ha in corso la sua prima personale in galleria, e ancora Julieta Aranda, Lovett/Codagnone, John Klekner, Andrew Mania, Manfredi Beninati, Joanna Robertson, Domenico Mangano, Concetta Modica e tanti altri. Da 13 anni l’obiettivo del mio lavoro è di portare opere di artisti internazionali nelle collezioni siciliane e di far conoscere fuori dall’isola i nostri artisti.

Come si combatte la crisi? 

Con la qualità. La crisi ha avuto però un effetto positivo: chi compra ha iniziato a seguire meno le mode per guardare di più alla ricerca. In fondo l’impatto negativo si è innestato su una situazione già di per sé poco favorevole come quella italiana, dove la recente legge Franceschini sullo sgravio fiscale per l’arte risulta ancora di difficile applicazione.

Che cosa manca al sistema del contemporaneo italiano?

Un po’ di orgoglio e il sostegno agli artisti italiani che spesso fanno lavori ottimi e innovativi. Inoltre manca una vera rete transnazionale, si vive in circoli chiusi. L’Italia ha anche un problema storico, trabocca di opere d’arte antica e questo colonizza l’immaginario, ostacolando l’imporsi del contemporaneo.

E al sistema siciliano?

La Sicilia è la massima espressione di quanto ho descritto, poche regioni in Italia vivono nel culto del passato come la Sicilia. Il Gattopardo rimane un modello, anche se secondo me Tomasi di Lampedusa è stato frainteso, il principe di Salina infatti si rende perfettamente conto del cambiamento dei tempi, fu Visconti a congelare quell’affresco in chiave nostalgica. Bisogna mandare via la nostalgia per il passato e costruire un’estetica contemporanea.

Progetti?

Nell’immediato la personale di Stefano Arienti curata da Agata Polizzi. La stagione autunnale si aprirà invece il primo ottobre con il nuovo progetto per Palermo di Per Barclay, che si è confrontato con la chiesa barocca di Santa Caterina d’Alessandria, «allagata» per l’occasione con 6mila litri di latte. Seguirà la prima personale in galleria di Luca Pancrazzi, con una serie di opere ispirate ai suoi recenti viaggi in Sicilia, la personale del pittore inglese Robert Stone e la mostra di Concetta Modica. Infine ci sarà spazio per molti giovani artisti; tengo moltissimo a dare loro fiducia e a mantenere il mio sguardo limpido attraverso la visione di chi, tramite l’arte, prova a migliorare se stesso e anche un po’ noi.

Giusi Diana, 16 giugno 2016 | © Riproduzione riservata

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