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Franceschini ha copiato dai siciliani

Silvia Mazza

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La riforma del Mibact replica le primogeniture della Regione a statuto speciale: autonomia per i luoghi della cultura e Soprintendenze uniche interdisciplinari

Con il Centro per il Restauro di Palermo, dotato di autonomia gestionale vent’anni prima dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, e con il Piano Paesaggistico delle Isole Egadi adottato nel 2002 (e a seguire quelli di quasi tutti gli altri territori regionali; nel 1999 si avevano già le Linee guida del Piano regionale), mentre è solo di recente che Puglia e Toscana hanno approvato i loro, almeno in alcuni ambiti la Sicilia è stata pioniera rispetto allo Stato. Anche la riforma del Mibact in corso ha i suoi precedenti nella Regione a statuto speciale.

A quasi 40 anni da quando furono lì introdotte per la prima volta (Legge regionale 80/1977), le Soprintendenze uniche interdisciplinari sostituiranno anche nelle altre regioni quelle settoriali-disciplinari. Le nuove 39 Soprintendenze Archeologia Belle arti e Paesaggio nascono dall’accorpamento delle Soprintendenze archeologiche a quelle già miste (dall’entrata in vigore della riforma il 10 dicembre 2014) per le Belle arti e il Paesaggio.

La novità, però, presentata come seconda fase della riforma Franceschini, invece che essere accompagnata, come era stato in Sicilia, da un serrato confronto politico e da un dibattito negli ambienti accademici e culturali, non è altro, invece, che una pezza riparatrice, sotto forma di un emendamento governativo (il 174 bis) alla Legge di stabilità, a quell’«automatismo rozzo e pericoloso», come Giuliano Volpe, presidente del Consiglio Superiore dei Beni culturali, ha definito il silenzio-assenso previsto dalla Legge Madia n. 124/2015, che sottoporrebbe le Soprintendenze alle Prefetture (la legge, per inciso, non si applica nella Regione siciliana che ha anche autonomia legislativa). Il dettato dell’emendamento definisce la misura «necessaria e urgente». È evidente, infatti, che se su una grande opera pubblica a dare il parere è una Soprintendenza unica, invece che due o tre, si ha maggiore probabilità di rispondere entro i tempi. Esempio paradigmatico di come una Soprintendenza unica siciliana possa opporre un contrasto a 360 gradi (sul fronte archeologico, architettonico e paesaggistico) ai tentativi di speculazione sul territorio è dato dal «caso siracusano», che il nostro giornale sta seguendo da qualche anno.

Ma anche sotto l’aspetto della progettualità, un restauro monumentale, per esempio, può essere seguito da un unico istituto, sia per le preliminari indagini archeologiche, che per i lavori architettonici e gli interventi conservativi sulle opere d’arte. Anche il nuovo corso che sta dotando di autonomia i musei e parchi archeologici statali (alle prime venti eccellenze museali, seguono dieci nuovi istituti) riprende un modello siciliano, stabilito anch’esso 15 anni fa da una norma regionale: la Legge Granata (l.r. 20/2000), che aveva istituito il Parco archeologico e paesaggistico della Valle dei Templi (l’unico ad oggi autonomo sia a livello gestionale che finanziario, mentre quello di Selinunte non ha ancora autonomia di spesa) e il Sistema dei Parchi archeologici siciliani. Veniva introdotto, per la prima volta, il «parco archeologico» come soggetto istituzionale, mentre sarà solo nel 2004 che il Codice dei Beni culturali nazionale ne fornirà una definizione. 

Fabio Granata, oggi uno degli ideologi del progetto politico #diventeràbellissima, ex An, già vicepresidente della Commissione parlamentare Antimafia, da capogruppo Pdl in Commissione Cultura aveva anche presentato «proposte di legge per estendere a livello nazionale il sistema dei parchi» (cfr. n. 302, ott. ’10, p. 6), in anticipo anche queste sullo scenario che oggi sta riformando i musei. 

Ma che cosa significa l’autonomia per il Parco della Valle dei Templi? Vuol dire poter promuovere con i privati attività produttive di contorno alla ricerca e alla tutela e gestire in proprio le entrate (biglietti di ingresso, servizi, pubblicazioni, donazioni di soggetti pubblici e privati ecc.), senza doverle versare (eccetto un 10% stabilito nell’ultima Finanziaria, che corrisponde al 20% del decreto di «solidarietà» del Mibact), come avviene, per esempio, per i musei, nel calderone indistinto del bilancio regionale, mentre a carico dell’Assessorato resta l’organico. 

Il parco della Valle dei Templi è un modello anche per il suo assetto: a livello ministeriale, infatti, il Comitato scientifico con 5 esperti che affianca i nuovi direttori dei 20 musei riprende il Titolo II della Legge 20. Ad Agrigento, i 5 componenti del Consiglio del Parco, organo di governo di quest’ultimo con compiti programmatori e di indirizzo, sono: il soprintendente, il sindaco, il presidente e due esperti.

E qui s’insinua un dubbio: fino a che punto questa autonomia può intendersi anche come indipendenza dalla politica, con (oltre al sindaco) la nomina del presidente fatta direttamente dall’assessore, quella del soprintendente non esente da condizionamenti politici e quella del direttore fatta dalla Giunta regionale? Negli ultimi 5 anni, inoltre, si sono succeduti 5 commissari straordinari, esautorando, di fatto, il Consiglio che, per volontà (di nuovo) politica, si tarda a insediare, cosicché il fatto che tutto sia deciso tra commissario e direttore definisce una sostanziale diarchia operativa sottratta a qualunque valutazione di merito. In altre parole, il mancato insediamento del Consiglio impedisce quel bilanciamento dell’autonomia la cui necessità traspare anche dal «decreto musei», che introduce per i 20 musei nazionali un sistema di limitazioni dei poteri del direttore, interne (Consiglio di amministrazione, Comitato scientifico e Collegio dei revisori dei conti) ed esterne (prescrizione per questi musei di agire «in coerenza con le direttive del Ministero», art. 11, e sottoponendoli alla vigilanza della Direzione generale Musei che ne approva i bilanci e i conti consuntivi, art. 14), proprio nel timore di un’interpretazione dell’autonomia in senso personale e autoreferenziale.

E se, in deroga alla situazione di stallo per cui tutti i siti e musei di Sicilia restano senza servizi aggiuntivi a seguito della sospensione in autotutela voluta da Crocetta delle gare aggiudicate nel 2012, solo il Parco di Agrigento ha un gestore temporaneo, grazie a una gara che ha curato in proprio, non mancano i casi di affidamento diretto di forniture e di incarichi professionali, senza gara o con trattative in economia, come prevede invece la normativa per le forniture di beni e servizi delle pubbliche amministrazioni. Si comprende, dunque, come in questo scenario l’insidia maggiore sia la possibile deriva per finalità clientelari di uno strumento legislativo e di un istituto la cui validità non può che esprimersi in un contesto normalizzato e controllato.

Eppure le potenzialità sono enormi, con un bilancio in crescita, che passa dai 3 milioni e 200mila euro del 2013 ai 4 milioni del 2014. Ma contare i soldi in cassa può davvero essere il solo metro di valutazione? Oppure non bisognerebbe avviare una seria riflessione su quali siano gli obiettivi in termini di valorizzazione che possano davvero mettere a valore l’autonomia e chiedersi fin dove si possa spingere l’apertura del patrimonio ai privati in nome del fundraising? Per esempio, per oltre 100mila euro, il 27 luglio scorso in occasione di Google Camp 2015, è stato concesso a Sergey Brin e Larry Page, fondatori del più importante motore di ricerca al mondo, insieme ad altri magnati del web e star dello showbiz, di cenare sullo sfondo del Tempio della Concordia, col parco chiuso ai turisti. 

La Soprintendente di Agrigento, Caterina Greco, si chiede se si possa «giustificare ogni uso purché a lauto pagamento», perché «un conto è la Medea al Colosseo, altro una cena privata e spettacolare a molti zeri, che si sarebbe potuta svolgere in altri luoghi, pure della Valle, senza ridurre a pura location il tempio simbolo di uno dei più importanti siti Unesco del Mediterraneo».

Per il direttore del Parco, Giuseppe Parello, conta, invece, che «la cena si è svolta in sicurezza, sulla cosiddetta Via Sacra (degli anni ’30), col tempio che faceva solo da sfondo all’evento». Ma è proprio questo il punto sollevato dalla Greco: «È quest’uso dei monumenti come fondali scenografici di location che fa inevitabilmente slittare la “valorizzazione” con concessione d’uso verso la destinazione commerciale del nostro patrimonio».

Silvia Mazza, 27 gennaio 2016 | © Riproduzione riservata

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