Firenze cinquant’anni dopo

Allora la città avviò una stagione di studi e restauri, ma rispetto ai rischi idrogeologici è in grave ritardo

Laura Lombardi |  | Firenze

Il 4 novembre 1966, all’alba, l’Arno ruppe gli argini. L’ultima alluvione era avvenuta nel 1844 e i fiorentini si erano dimenticati del pericolo rappresentato dal loro fiume. I danni alla città furono terribili, specie nella zona di Santa Croce, più bassa rispetto al fiume. Gli occhi di tutto il mondo, pur in un’epoca senza internet, furono puntati sulla città culla del Rinascimento e proprio la catastrofe diede forte impulso agli studi e ai restauri: opere come il «Crocifisso» di Cimabue (restaurato, sotto la guida di Umberto Baldini, nei Laboratori della Fortezza allestiti per l’urgenza dal Gabinetto di Restauro della Soprintendenza fondato da Ugo Procacci anni prima), divennero emblema di un faticoso risorgere che non cancellava, secondo le teorie sul restauro di Cesare Brandi (escludendo quindi il feticismo del frammento), la memoria dei traumi subiti. 

Ma a che punto è Firenze a
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