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Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliAl Museo Gucci, «The language of flowers», dal 13 marzo al 20 settembre, presenta opere della collezione François Pinault. Il tema floreale scelto da Martin Bethenod, direttore di Palazzo Grassi-Punta della Dogana, sedi della Fondazione intitolata al collezionista francese, vanta un’ampia simbologia nella tradizione iconografica, connessa alla seduzione visiva e olfattiva, alla bellezza effimera ed al trascorrere e al corrompersi dell’esistenza. Nelle opere di quattro artisti, eseguite dal 1967 al 2012, proprio a scandire anche diversi momenti della storia degli ultimi decenni, il fiore si carica di significati diversi. Il rigore formale della composizione dei dittici del fotografo Irving Penn (1967-68), grazie anche alla cura meticolosa della stampa, suscita una riflessione sul tempo e la vanità delle cose, mentre in «Einder» (2007-08) di Marlene Dumas, la presenza floreale, che fluttua in un mare blu notte, è legata al dolore e al lutto, essendo il fiore in questione quello deposto sulla bara della madre dell’artista. «Calendula» e «Phlox New Hybrid (with Dahila Redskin)» del 2010 di Valérie Belin giocano sull’associazione tra volti e motivi floreali, riflessione sull’ambiguità tra umanità e mondo vegetale, natura e artifico, realtà e virtuale. Una metafora politica, legata alla primavera araba, è infine racchiusa in «Fantôme» (2012) di Lafita Echakhch, che muove dal ricordo di un fioraio ambulante di Beirut che preservava sotto la camicia il profumo e la freschezza di ghirlande di gelsomini.
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