Fagiolo dell’Arco, maestro generoso e fuori dagli schemi

Una mostra omaggio nella Galleria Russo ricorda il brillante studioso a vent’anni dalla morte

Torino, 1971: Maurizio Fagiolo dell’Arco con Man Ray. Foto Maurizio di Puolo
Francesca Romana Morelli  |  | Roma

Quest’anno sono vent’anni dalla prematura scomparsa di Maurizio Fagiolo dell’Arco (1939-2002). Fabrizio Russo con la cura di Laura Cherubini e la supervisione di Beatrice Mirri gli rendono omaggio con una mostra, aperta nella Galleria Russo dal 23 giugno al 5 luglio.

«Omaggio a Maurizio Fagiolo dell’Arco» accoglie le opere degli artisti ai quali nel tempo Fagiolo ha dedicato i suoi formidabili e acuminati studi, molte delle quali provenienti dalla sua privatissima collezione, testimonianze quindi di pezzi di vita vissuta intensamente e con uno sguardo mentale folgorante, frequentazioni non soltanto intellettuali. Come per esempio una «Bomba» (1965) di Pino Pascali, un grande «Rosso» (1961) di Tano Festa, ma anche una straordinaria  natura morta realista di Alberto Ziveri (1954). E poi Alighiero Boetti, Giulio Paolini, Giuseppe Capogrossi, Antonio Sanfilippo.

Nel catalogo invece sono state raccolte le testimonianze di amici, studiosi cresciuti nel suo studio, artisti, che in molti casi sono stati compagni di strada di una vita intera. «Maurizio Fagiolo dell’Arco è grandissima figura di storico dell’arte, personalità poliedrica, brillante studioso e creatore di indimenticabili mostre, osserva Laura Cherubini. Il campo dei suoi interessi era molto ampio: spaziava dal Barocco ai Pittori dannunziani, dal Futurismo alla Metafisica, dalla Scuola Romana alla Scuola di piazza del Popolo fino agli artisti più contemporanei. Dalla monumentale monografia su Bernini (scritta con il fratello Marcello) a Rapporto 60, pubblicato in corso d’opera nel 1966, è stato pioniere, precursore di molti studi rivolgendosi spesso ad argomenti al momento poco noti o non abbastanza valutati e studiati».

A fronte di tutto ciò risulta importante riportare la riflessione di Daniela Fonti, sull’eredità di un «maestro» generoso e fuori dai soliti schemi: «(…) è stato un grande maestro, per inventiva, estro e lateralità dello sguardo, per tanti storici dell’arte e curatori oggi di successo, che, come me, gli devono moltissimo. Era un uomo che ha amato molto le donne e che da loro è stato molto riamato; una vita vissuta con frenesia, ma sempre senza alcun eccesso, in una sorta di presentimento, ma sereno, di morte precoce. Oggi in tanti lo piangiamo ancora, ma la cosiddetta comunità degli studiosi lo ha messo nel cassetto dei ricordi con troppa leggerezza (e presunzione)».

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