Fabrizio Magani: «Non dobbiamo dire sempre no»
Il nuovo soprintendente di Venezia e Laguna crede nella validità di nuovi progetti che non cancellino storia e tradizione architettonica

«Penso che Venezia non avrà mai fine, ha sempre saputo rinnovarsi nelle difficoltà e lo farà ancora». Fabrizio Magani ha uno sguardo tutto sommato ottimistico verso la città che da inizio anno è chiamato a tutelare in prima persona. Padovano, 62 anni, è alla guida della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Venezia e Laguna e continua a occuparsi ad interim, in attesa di una nuova nomina, anche di quella di Verona. Arriva dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’Area Metropolitana di Venezia e per le province di Belluno, Padova e Treviso, che ha diretto negli ultimi tre anni. Conosce bene Venezia, in particolare quella settecentesca, da storico dell’arte e del restauro, ma ne ha già affrontato in parte i suoi problemi avendo diretto ad interim in passato quella che allora si chiamava la Soprintendenza Speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il Polo museale della Città di Venezia e dei Comuni della Gronda lagunare.
Magani, com’è Venezia dal punto di vista di un soprintendente?
È una città differente da tutte le altre realtà del Veneto, anche per il regime di vincoli monumentali e ambientali che la governano e questo ha sviluppato una sensibilità molto forte non solo da parte dei suoi cittadini, ma anche a livello internazionale, per tutto ciò che riguarda la tutela e conservazione sua e della laguna a essa strettamente legata. Serve perciò un estremo equilibrio per consentire comunque lo sviluppo del territorio veneziano, non frenarlo, pur nel rispetto delle norme di salvaguardia e di tutela. Non credo che la Soprintendenza debba dire sempre «no», ma dialogare con i soggetti che propongono cambiamenti, a cominciare dal Comune di Venezia e cercare soluzioni che tutelino appunto salvaguardia e sviluppo. La stessa normativa del Ministero della Cultura (MiC) con la sua evoluzione ci spinge in questa direzione. Penso ad esempio a tutti i nuovi progetti legati ai fondi del Pnrr che ci troviamo ad affrontare in questi mesi. A cominciare da quello della Biennale di Venezia che riguarda la trasformazione di una parte dell’Arsenale nelle strutture del nuovo polo di ricerca sull’arte contemporanea legato anche all’Asac, l’Archivio Storico delle Arti Contemporanee.
Di recente hanno fatto scalpore le polemiche legate all’uso di Piazza San Marco per i concerti. Lo stesso proto della Basilica di San Marco, l’architetto Mario Piana, le ha scritto in proposito una lettera paventando i rischi potenziali per la stabilità dei mosaici marciani.
Storicamente Piazza San Marco è stata sempre utilizzata per eventi o manifestazioni, dai giochi con i tori ai mercati, dalle feste dogali alle stesse esecuzioni capitali. È la piazza più utilizzata anche dal punto di vista simbolico e non è più legata alla residenza e anche al relativo disturbo della quiete pubblica come altre parti della città. Proprio sulla scorta delle polemiche, ho scritto a mia volta una lettera al Comune di Venezia e a Vela, la società municipalizzata che si occupa degli eventi, per chiedere una verifica sull’organizzazione di questo tipo di manifestazioni a San Marco. D’ora in poi sarà la stessa società a occuparsi della realizzazione del palco e di tutte le modalità organizzative, senza più delegarle allo staff degli artisti. Questo significherà forse perdere qualche concerto, con la garanzia di uno svolgimento controllato per tutti gli altri.
La Basilica di San Marco necessita di continui interventi di restauro e manutenzione anche per i danni legati all’acqua alta verificatisi prima dell’installazione delle barriere protettive in cristallo che ora la isolano. Lo Stato ha cominciato a fare la sua parte?
Sono arrivati finanziamenti consistenti dal MiC per il restauro delle parti lapidee e delle stesse pavimentazioni musive, innescando un percorso virtuoso con la Procuratoria di San Marco che si occupa della progettazione e dell’esecuzione degli interventi e la Soprintendenza che li coordina, come sarà anche per i lavori appena iniziati di impermeabilizzazione dalle acque alte della stessa piazza.
Rimuovendo infatti i primi masegni sono spuntati i resti della pavimentazione originaria della piazza.
Per noi quel tratto di pavimentazione è come se fosse l’Apollo del Belvedere. L’archeologia urbana di Venezia è una continua sorpresa, due brave archeologhe dei nostri uffici se ne occupano. Abbiamo il problema di reperire depositi adeguati per i continui rinvenimenti ogni volta che si scava nel sottosuolo della città. C’è anche un’importante novità: la Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo, che ha la sede centrale a Taranto, attiverà un ufficio anche a Venezia, così da riprendere le ricerche sui fondali lagunari, sulla scia della collaborazione che abbiamo già avviato anche con l’Università di Ca’ Foscari per ritrovamenti come quello di Lio Piccolo o per i resti del santuario di epoca romana di Lova, vicino a Campagnalupia.
Che cosa pensa del rapporto tra Venezia e la nuova architettura? Rem Koolhaas per la trasformazione del Fondaco dei Tedeschi, Tadao Ando per la riconversione espositiva di Punta della Dogana o David Chipperfield per il riuso delle Procuratie Vecchie secondo il progetto delle Assicurazioni Generali.
La nuova architettura a Venezia storicamente c’è sempre stata, la città è frutto di stratificazioni di stili che si sono sovrapposti nel tempo. Il progetto di Palladio per il nuovo Palazzo Ducale fu al tempo giudicato troppo rivoluzionario. I nomi citati sono tutti di grandi architetti: il problema è consentire la realizzazione di nuovi progetti che mantengano un rapporto con la storia e la tradizione architettonica della città, non la cancellino. È, ancora una volta, una questione di equilibrio.
Intanto la città soffoca non solo per il caldo ma sopraffatta dalla morsa del turismo.
Servono certamente dei correttivi e dei limiti (anche se non spetta a noi deciderli), ma soprattutto serve trasmettere al turista, che arriva anche solo per un giorno, una diversa consapevolezza della città.