Ex assessore alla cultura, ora sindaco. Fortunata Bologna!

Per Matteo Lepore trasformazione e cambiamento partono dalla cultura: arte, cinema e teatro. Ma non bastano i musei, vuole investire su formazione e produzioni artistiche e allearsi per fare grandi mostre

Matteo Lepore
Stefano Luppi |  | Bologna

Bolognese, classe 1980, l’11 ottobre scorso Matteo Lepore è stato eletto sindaco di Bologna e della Città Metropolitana. Nella precedente legislatura amministrativa comunale era assessore alla cultura, delega che ha deciso di mantenere anche nella veste di primo cittadino. Laureato in scienze politiche con tre master in relazioni internazionali, edilizia e urbanistica ed economia della cooperazione, prima della carriera politica, intrapresa nel 1999, ha lavorato per Legacoop Bologna.

Sindaco Lepore, è un buon segno che abbia mantenuto per sé la delega alla cultura. Perché lo ha fatto?
Bologna deve rilanciare la propria identità e a mio modo di vedere la cultura e la conoscenza sono i due temi chiave che servono come leva per la trasformazione e il cambiamento in questo senso. Ho pertanto deciso di seguire l’argomento in prima persona perché è stimolante.

Quanto tempo riesce a dedicare ai temi culturali?
Per la quotidianità ho delegato un’esperta in direzione e produzione culturale, Elena di Gioia, ma certamente seguo da vicino ogni argomento compresi i distretti culturali metropolitani, ossia fuori dallo stretto capoluogo cittadino.

Quali sono stati i suoi principali risultati come assessore nella precedente amministrazione (con sindaco Merola)?
Avevo anche la delega del turismo e devo dire che sono stati due temi protagonisti della attività amministrativa. Abbiamo messo in sicurezza i vari festival nonché le istituzioni culturali bolognesi, in particolare attraverso una programmazione culturale non solo nel centro, ma anche nei quartieri nelle periferie della città. C’è stato apprezzamento crescente per questo modo di agire.

Quali sono invece oggi i suoi principali obiettivi culturali come primo cittadino?
La nostra priorità come amministrazione comunale è la sistemazione del comparto museale, composto da numerosi e storici enti culturali pubblici e privati. Ad esempio l’offerta di Genus Bononiae di Fondazione Carisbo si sta modificando (dopo l’uscita del suo fondatore, l’ex rettore dell’Alma Mater, Fabio Roversi Monaco, Ndr) e anche i nostri Musei Civici sono cambiati a seguito del Covid-19 da molti punti di vista. Occorre seguire una nuova strada che metta in rapporto questi enti culturali con le scuole, ad esempio. Serve anche una grande alleanza tra fondazioni e Comune, per costruire progetti integrati per esempio per le grandi mostre.

Vede delle criticità?
Bologna dovrebbe avere più coraggio dal punto di vista artistico e nel rapporto con gli artisti: per questo dopo esserci dedicati all’economia della cultura, chiamiamola così, oggi dedichiamo attenzione e sosteniamo la produzione. Puntiamo alla città come luogo di formazione a sostegno della creatività.

E dei punti di forza concreti?
Continua bene il lavoro ormai noto della Cineteca: pensi al «Sotto le stelle del Cinema» che abbiamo mantenuto in questi anni complicati e portato anche in periferia. Poi abbiamo il «Cinema Ritrovato» a giugno, con restauri e proiezioni di film importanti. Il mantra, anche in questo settore, è sempre la produzione culturale e per questo abbiamo un cineporto alla Fiera di Bologna oltre a set cinematografici sempre più diffusi in città.

Come valuta la situazione culturale bolognese dopo due anni di pandemia?
Bologna per fortuna ha tenuto bene anche per quanto riguarda il suo tessuto culturale e produttivo e abbiamo le carte in regola per una ripartenza forte.

Il virus ha determinato in generale gravi problemi occupazionali nella cultura e nel turismo. Anche a Bologna?
A Bologna in questi due comparti operano circa 26mila persone; dovendo vivere, durante la pandemia, qualcuna purtroppo ha cambiato mestiere non sapendo se tornerà in questi ambiti lavorativi. Prima della pandemia il turismo era molto cresciuto, in dieci anni il ruolo di tanti enti, penso per esempio ai teatri, si era notevolmente rafforzato. Queste sono vere e proprie perdite per il patrimonio culturale, un aspetto non certo banale o secondario.

Il programma di Art City Bologna è stato mantenuto anche in pandemia: lo scorso anno, con l’edizione spostata a maggio, è stato l’evento simbolo della ripartenza.
Art City Bologna è sempre di più un punto di riferimento per la nostra città d’arte, anche se non è stato semplice perché in quella circostanza, al fianco di Arte Fiera, si mette in mostra tutto il comparto culturale e lo scorso anno è mancato il legame internazionale.

Fino al 2019 i turisti in Emilia-Romagna erano in forte aumento, anche nelle città d’arte. Quanto «pesa» il turismo a Bologna?
Purtroppo, come tutti, siamo ripartiti da zero, ma Bologna, come vediamo ora, appena riapre si riempie di turisti italiani ed europei e speriamo presto anche di altre parti del mondo. La città si afferma come luogo caratterizzato da cultura e autenticità. Dobbiamo tanto all’alta velocità che ha accorciato le distanze: siamo a un’ora da Milano, mezz’ora da Firenze, un’ora e mezzo da Venezia, due ore da Roma.

Come investirete i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) destinati a Bologna?
Abbiamo due progetti bandiera. L’«Impronta Verde», con nuovi parchi e aree verdi che interessano l’intera città e la «Via della Conoscenza», un progetto di riqualificazione di un’area importante della città, che avrà il cuore nella Bolognina, dietro la stazione FS, in un quartiere storico, popolare e multietnico. Qui avremo sedi per Tecnopolo e studentati, nonché un polo della Memoria con il Museo di Ustica e luoghi dedicati al contemporaneo e alla gestione degli archivi culturali della città.

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