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Lidia Panzeri
Leggi i suoi articoliLa collezione Righi, dal concettuale italiano alle tendenze internazionali
«Collezionismo contemporaneo» è il titolo della mostra allestita al Museo Fortuny sino al 10 ottobre. «L’inizio è volutamente italiano», dichiara la direttrice del museo, Daniela Ferretti, la quale si augura anche che questa sia la prima esposizione di un ciclo. A essere allestite, infatti, sono un centinaio di opere, scelte dai curatori Eric Mézil e Lorenzo Paini tra il migliaio di proprietà del collezionista bolognese Enea Righi (1956), che ha cominciato a coltivare questa sua passione alla fine degli anni Ottanta (alcune sono in comodato al Museion di Bolzano e al Madre di Napoli). Riservato nel carattere, Righi si rivela ben motivato nella sua predilezione per un’arte evocativa, come dimostra la citazione dell’opera dello svizzero Rémy Zaugg «quand fondra la neige, ou ira le blanc» che fa da filo conduttore al percorso.
Un’ulteriore riprova è costituita dagli arazzi quasi monocromi di Alighiero Boetti, l’artista prediletto da Righi, e da due tavolette di Gino De Dominicis, compresa quella intitolata «D’io» del 1971. Le avanguardie italiane (e non solo, infatti c’è anche Buren) degli anni Settanta sono individuate come punto di avvio; poi il collezionista dimostra una costante attenzione su quanto andava evolvendosi anche in campo internazionale. Si va dalla tormentata sessualità di Kiki Smith alla visione classica di Candida Höfer al «Bread Bed» di Jana Sterbak, ma le star sono davvero tante: dai Kabakov a Cy Twombly, da Chen Zhen a Hirschhorn fino a Philippe Parreno e a un doppio ritratto di Francesco Vezzoli. Il catalogo ha l’eleganza propria di chi, come Righi, colleziona anche libri d’artista.
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