E Giacomo Ceruti arrivò a Gandino, in fuga dai creditori

Il Museo della Basilica, nella città che lo accolse, mette in mostra dopo il restauro sei dipinti «dimenticati» nelle cappelle laterali del presbiterio e i relativi documenti

G. Ceruti, «San Pietro in gloria» (145 x 220 cm). Dopo il restauro. Gandino, Basilica di S. Maria Assunta. Foto Antonio Zaccaria, Restauro Beni Culturali
Ada Masoero |

Questo 2023, anno di Bergamo Brescia Capitale italiana della Cultura, è stato anche l’anno della «rinascita» di un pittore lungamente attivo a Brescia (e a Venezia) Giacomo Ceruti (Milano 1698-1767, per il gran numero di mostre (prima fra tutte quella del Museo di Santa Giulia) e di studi che hanno esplorato il suo lavoro secondo un’ottica aggiornata e, ora, anche per il restauro (con relative, importanti riscoperte) promosso da Fondazione Credito Bergamasco in vista dell’esposizione «Ceruti sacro e la pittura a Brescia tra Ricci e Tiepolo», conclusa il 21 maggio presso il Museo Diocesano di Brescia. Per i risultati raggiunti il restauro ha dato vita a un’altra mostra, «Ceruti mai visto», fino al 10 settembre nel Museo della Basilica di Gandino, curata dal rettore del museo Francesco Rizzoni con Francesco Nezosi e Filippo Piazza.

A Gandino Ceruti arrivò nel 1733 da Brescia, in fuga dai creditori dopo degli investimenti sbagliati, e qui rimase fino al 1735, quando si trasferì a Venezia, chiamato dal feldmaresciallo Johann Matthias von der Schulenburg. Per la Basilica di Santa Maria Assunta di Gandino Ceruti dipinse il ciclo ben noto formato dai due grandi teleri mariani e dalla serie dei «Profeti», ma realizzò anche altri dipinti per le due cappelle ai lati del presbiterio che, posti com’erano a 13 metri d’altezza, furono presto dimenticati.

I sei dipinti («San Ponziano papa in gloria» e i due ovali con «San Quirino» e «San Valentino»; «San Pietro in gloria» e i due ovali con il «Pentimento di San Pietro» e «San Pietro liberato dal carcere»), smontati e sottoposti da Vincenzo Gheroldi a una campagna d’indagini scientifiche, sono stati restaurati da Antonio Zaccaria e, non essendo mai stati toccati prima d’ora (caso davvero raro), hanno rivelato una messe d’informazioni preziose sulla tecnica esecutiva di Ceruti: si trattava quindi di «curarli» senza però alterare i materiali originali (con cui l’artista simulò sulla tela la pittura murale) né cancellare le numerose impronte digitali da lui lasciate sulla pittura fresca, né trascurare il fine lavoro di carpenteria dei telai lignei sagomati.

Attualmente le tele sono esposte (le due più grandi, visibili anche dal retro), insieme ai documenti dei pagamenti all’artista, mai esibiti prima, dell’Archivio parrocchiale di Gandino, alla riproduzione del contratto da lui stipulato con i Reggenti della Basilica (Archivio di Stato di Bergamo) e a due ritratti inediti: uno di Vincenzo Marinelli, vicario di Gandino durante il soggiorno dell’artista, l’altro (di grande qualità, di mano di Ceruti) del notaio Silvestro Ponziano Patirani, che quei contratti predispose. Con questi, a documentare la tradizione tessile locale, è esposta una pianeta molto simile a quella che figura nell’ovale di «San Valentino».

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