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Tina Lepri
Leggi i suoi articoliWashington. Da quando il Congresso degli Stati Uniti ne ha approvato il progetto sono passati tredici anni e ben cento da quando ai soldati neri di ritorno dal fronte europeo dopo la prima guerra mondiale venne l’idea. Ora finalmente il 24 settembre si apre a Washington il National Museum of African American History & Culture, il Museo Nazionale di Storia e Cultura afroamericane, che sorge nel complesso della Smithsonian Institution non lontano dalla Casa Bianca, lungo il National Mall, il viale protagonista delle marce degli afroamericani per la conquista dei diritti civili, spesso represse nel sangue.
Nel 40mila metri quadrati del museo, costato 540 milioni di dollari (di cui 270 donati da privati) e realizzato da David Adyaje e da Philip Freelon con il loro studio Freelon Adjaye Bond/SmithGroup, il percorso è un lungo viaggio tra razzismo, segregazione ed emancipazione. I primi schiavi arrivarono dall’Africa negli Usa nel 1619 con i colonizzatori europei, più di un secolo prima della Rivoluzione: sono loro uno dei popoli che vive da più tempo in America.
Il museo espone 3.500 oggetti sui 40mila della collezione: c’è la capanna, vera, degli schiavi di una piantagione di cotone della Carolina del Sud con tanto di collari di ferro (anche quelli, piccolissimi, per i bambini); o i cappucci di seta usati dai membri del Ku Klux Klan, con il lunghissimo resoconto dei loro linciaggi corredati da fotografie. «La realtà, gli atti di segregazione e violenza, a volte sono concetti astratti, per questo il museo espone gli oggetti “normali” usati per secoli per operare l’incessante repressione quotidiana», dichiarano i collaboratori del direttore del museo, Lonnie Bunch. È lui, 63 anni passati a insegnare, scrivere, preparare il colossale museo, a offrire ai visitatori anche immagini, documenti, filmati inclusivi della nuova istituzione culturale. Una visione concreta e attuale che non fa soltanto i conti con il passato violento dell’America: «La nostra storia, quella che raccontiamo, dichiara Bunch, si intreccia con quella americana; molti valori, come l’ottimismo e la spiritualità, vengono dalla cultura afro-americana». Per questo nei cinque piani del museo non mancano la tromba di Louis Armstrong, le medaglie olimpiche di Carl Lewis e la Cadillac rossa di Chuck Berry.
Nel museo, che non è stato concepito soltanto per interessare il pubblico nero ma per dimostrare che la storia afroamericana è una storia americana, commuove il semplice vestito di Rosa Parker, la prima donna nera che si rifiutò di scendere dal bus riservato ai bianchi. Contrasta la grande statua dorata che commemora il pugno nero degli atleti sul podio di Città del Messico nel 1968. Non lontano c’è una stanza vuota destinata a restare tale. Luogo rifugio per le persone sensibili, dove «riposare il cuore e la mente» durante il difficile cammino che scava nelle fondamenta della nazione per mostrare il lunghissimo percorso della lotta dei neri contro il razzismo. Nella stanza c’è sempre a disposizione uno psicologo.

Il National Museum of African American History & Culture s'inaugura il 24 settembre a Washington nel complesso della Smithsonian Institution
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