Dopo trent’anni Morandi torna a Palazzo Reale

Intervista all’ideatrice e curatrice (e massima studiosa dell’artista) Maria Cristina Bandera sulla mostra che racchiude cinquant’anni di lavoro dell’artista bolognese

Ritratto di Giorgio Morandi nella foto di Herbert List (particolare)
Ada Masoero |  | Milano

A Bologna Giorgio Morandi nacque (nel 1890) e morì (nel 1964) e da Bologna si spostò raramente, se non per le estati nella vicina Grizzana o per brevi soggiorni, ma fu Milano la città che decretò la sua fama: qui vivevano, infatti, i suoi primi collezionisti, presto anche amici, come Lamberto Vitali (che ne avrebbe curato i cataloghi dell’opera grafica e dei dipinti), gli Jesi, gli Jucker, i Boschi-Di Stefano, De Angeli, Valdameri, Scheiwiller, Vismara, i cui capolavori sono confluiti in gran numero nelle raccolte pubbliche milanesi. E a Milano operava l’influente Galleria del Milione, con la quale Morandi intrattenne un rapporto speciale.

Eppure l’ultima sua mostra pubblica in città (nel Palazzo Reale) risale al 1990. Dopo oltre trent’anni, Palazzo Reale si riapre, dal 5 ottobre al 4 febbraio 2024, alla sua opera, con la mostra «Morandi 1890-1964», ideata e curata dalla sua massima studiosa, Maria Cristina Bandera, e prodotta da Palazzo Reale, Civita Mostre e Musei e 24 Ore Cultura-Gruppo 24 Ore (suo il catalogo e il volumetto della collana «Una vita per l’arte», entrambi a cura di Bandera), con il Settore Musei Civici Bologna | Museo Morandi, grazie al quale è stata realizzata l’installazione immersiva che riproduce lo studio di via Fondazza a Bologna (con la sua voce, da un’intervista radiofonica).

Cinquant’anni esatti di lavoro, dal 1913 al 1963, riletti attraverso 120 opere-cardine, provenienti da importanti collezioni pubbliche e private, italiane e straniere, di un artista lungamente considerato un isolato «ma per il quale, puntualizza la curatrice, si deve piuttosto parlare di operosa solitudine: un luogo comune, quello, che tenevo molto a smantellare».

Con lei parliamo della mostra, ordinata in una sequenza cronologica, rotta solo da accostamenti particolarmente significativi.

Maria Cristina Bandera, con quali criteri ha scelto le opere da esporre in mostra?
Le opere sono state scelte in base alla provenienza, alla completezza del percorso, agli accostamenti. La provenienza dalle più importanti collezioni storiche è una garanzia di qualità: i collezionisti della prima ora potevano scegliere il meglio del suo lavoro. E non a caso il catalogo (oltre 300 pagine e 14 saggi di eminenti studiosi, Ndr) è incentrato proprio sul rapporto di Morandi con i collezionisti, oltre che con i critici (Longhi, Arcangeli, Ragghianti, Brandi) che gli furono più vicini.

La completezza del percorso era fondamentale per seguire lo sviluppo di Morandi, che non è affatto un artista “sempre uguale”: il suo è un work in progress, una ricerca costante, con piccoli passaggi e cambiamenti sempre coerenti.

Quanto agli accostamenti di piccoli nuclei di «opere di simil soggetto» (come diceva lui) anche se non strettamente contemporanee, permettono di cogliere quelle che chiamava «le variazioni». Si tratta di opere che sembrano simili, ma che non lo sono affatto: Morandi faceva addirittura realizzare i telai con misure diverse, in base all’idea che aveva elaborato.


La mostra evidenzia il suo precoce accostamento alle avanguardie, nei primi anni Dieci, tra cézannismo, Cubismo, Futurismo (ulteriore smentita del suo presunto isolamento), poi la stagione breve e magnifica della «sua» metafisica, così mentale (1918-19), e il ritorno al reale con «Valori Plastici» (1919-20). Di qui si procede per decenni, con due sole eccezioni: le sezioni dell’incisione e degli acquerelli. Anche qui, come ha selezionato i lavori?

Per l’incisione ho scelto la «Grande natura morta con lampada a destra» (1928), un prodigio di abilità tecnica di cui la Raccolta Bertarelli di Milano, grazie al lascito Vitali, possiede tutti gli otto stati, ai quali abbiamo potuto accostare la lastra di rame e uno dei due dipinti corrispondenti, quello del Mart di Rovereto. Degli acquerelli (oltre 250, realizzati tra il 1956 e il 1963), ne figurano nove, fra i quali quelli che Longhi definiva «senza più nome», dove gli oggetti sono talmente smaterializzati da diventare non più riconoscibili.

Quali sono gli obiettivi di questa mostra? A chi si rivolge?
Oltre agli appassionati, in costante aumento, com’è attestato da un interesse visibilmente crescente (mercato, mostre, editoria, cinema), spero che richiami un pubblico di giovani: designer, creativi, artisti, così numerosi a Milano. Morandi è un pittore che va guardato da vicino e che sa offrire una lezione di assoluta contemporaneità: non a caso la sua pittura senza storia, minimalista, sta godendo ovunque (Cina e Giappone compresi) di un grandissimo successo. Non è né realista né astratto, come del resto sosteneva lui stesso: per lui, se mai, si può parlare di una «realtà astratta».

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