Dietrofront del Tar su Dalí

Il Tribunale del Lazio boccia il decreto del Ministero che aveva sospeso all’ultimo minuto la vendita all’asta di un dittico del pittore catalano. Un segnale contro gli eccessi della burocrazia?

«Couple aux tetes pleines de nuages» (1937) di Salvador Dali © Bonhams
Michela Moro |

Le sessantadue pagine di una recente sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio potrebbero diventare un segnale positivo per affrontare l’intricata disciplina attinente alla vendita di opere d’arte e trasformarsi in un piccolo manuale di contemporaneo buonsenso burocratico.

Al centro della vicenda una coppia di dipinti di Salvador Dalí «Couple aux têtes pleines de nuages», del 1937. Nel 2019 la Fondazione Isabella Scelsi, fondata nel 1987 dal musicista e compositore Giacinto Scelsi, decise di porre in vendita il dittico, parte del proprio patrimonio, per finanziare nuove iniziative culturali. Negli anni ’50 l’opera era stata venduta, verosimilmente da Paul Éluard, a Frances Mc Cann, artista e gallerista americana, che l’aveva donata a Giacinto Scelsi, all’epoca suo compagno.

Dopo la scomparsa di Scelsi nel 1987, l’opera rimase nel caveau di una banca fino al 2004, quando fu esposta a Palazzo Grassi a Venezia per la mostra «Dalí». In seguito la Fondazione Scelsi la affidò in comodato gratuito al Mart di Rovereto che, senza includerla nella propria collezione permanente,  se ne assunse la custodia, e il dittico fu esposto in numerose mostre internazionali da Philadelphia (2005) a Milano, al Palazzo Reale (2010); dalla Kunsthalle di Vienna (2011), a Roma al Complesso monumentale del Vittoriano (2012); e ancora a Dublino (2015-2016); a Berna (2017); a Londra (2017-2018) e a Barcellona (2018); tutti prestiti avvenuti con l’assenso del Ministero.

La vendita fu affidata alla casa d’aste Bonhams, che si attivò con la Fondazione Scelsi per espletare tutte le richieste del Ministero e ottenere l’attestato di libera circolazione. 

La Commissione dell’Ufficio esportazioni di Roma, dopo aver richiesto anche il parere della direzione della Gnam, Galleria nazionale di arte moderna di Roma, che si espresse a favore, concesse l’attestato di libera circolazione, trattandosi di opere di autore non italiano, prive di legame con il contesto artistico italiano: l’esportazione non avrebbe arrecato alcun danno al nostro patrimonio culturale. L’opera di Salvador Dalí, valutata 11,6 milioni di euro, veniva consegnata a Bonhams per la vendita con gran riscontro pubblico, data la popolarità del dipinto.

Ma il 15 ottobre 2020, tre ore e 15 minuti prima dell’inizio dell’asta a Londra, il Ministero dei Beni culturali notificava alla Fondazione Scelsi il decreto di annullamento in via di autotutela dell’attestato di libera circolazione per l’opera di Salvador Dalí, con contestuale avvio d’ufficio del procedimento di verifica dell’interesse culturale. Nel frattempo il dipinto veniva battuto al prezzo di 8.416.574 sterline, inclusi diritti d’asta e diritti di seguito, corrispondenti a 9.653.261 euro (al cambio odierno), sia pure con vendita sospensivamente condizionata, in considerazione dell’annullamento dell’attestato.

Secondo il Ministero né la Fondazione Scelsi né la casa d’aste avrebbero tenuto in considerazione che «la coppia di dipinti costituirebbe un esempio della pittura surrealista e perciò rivestirebbe almeno un interesse artistico culturale "semplice" che, da un lato, ne imporrebbe la tutela e, dall’altro avrebbe impedito l’espatrio in via definitiva dal Paese. Viceversa l’interesse indagato con il procedimento finalizzato all’esportazione sarebbe stato quello, differente, di "particolare importanza", l’interesse culturale "semplice", ostativo all’esportazione, si evincerebbe dalla circostanza che il dittico in questione sarebbe stato con "elevata probabilità" realizzato in Italia».

Il Tar del Lazio si è pronunciato a favore della Fondazione Scelsi e della casa d’aste Bonhams, in quanto «il procedimento di verifica dell’interesse culturale semplice sarebbe stato condotto in spregio agli indirizzi generali posti dal Ministero e in applicazione di un inammissibile criterio del tutto nuovo, personale e avulso dalle caratteristiche artistiche dell’opera, oltre che non in linea con l’uniformità valutativa in uso».

Il provvedimento continua con parole come macigni: «La valutazione risulta espressa sulla scorta di un coacervo di circostanze di fatto e considerazioni non autosufficienti - tenuto conto del tenore dell’impianto motivazionale che sorregge il contestato ritiro - quali: la probabile realizzazione dell’opera in Italia, i rapporti di predilezione e affinità culturali tra Dalí e Scelsi, il legame tra il dittico e la casa museo di Scelsi nonché i complessi rapporti di dare e avere che Dalì avrebbe avuto con l’arte e la cultura italiana».

La sentenza mette il dito nell’ovvia piaga burocratica che tutti conoscono e lamentano e che caro costa all’arte italiana, anche in termini economici; forse servirà a smuovere le acque.

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