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Walter Guadagnini
Leggi i suoi articoliLa Biennale Foto/Industria che si inaugura il 2 ottobre è un tassello fondamentale dell’opera di consolidamento della presenza e dell’immagine del Mast sia a livello internazionale sia sul territorio (fino al primo novembre in varie sedi cittadine; fino al 10 gennaio al Mast; con la collaborazione del Comune di Bologna. Info su www.fotoindustria.it).
Quattordici mostre, suddivise in dodici sedi, rappresentano infatti uno sforzo produttivo e organizzativo di grande rilievo, che punta a rendere la Fondazione Mast «un luogo di riferimento per la fotografia che racconta l’industria», come ha affermato la presidente e motore primo dell’intero progetto, Isabella Seragnoli.
Affidata alla cura di François Hébel, reduce dall’avventura di successo della direzione decennale dei «Rencontres» di Arles, con la partecipazione di Urs Stahel, direttore della Photogallery del Mast, la mostra si dipana nel centro cittadino: MAMbo, Pinacoteca Nazionale, Palazzo Pepoli, Casa Saraceni della Fondazione Cassa di Risparmio, Palazzo Paltroni della Fondazione del Monte, Palazzo Poggi, la sede della Fondazione in via Speranza.
Il tema individuato è «produrre», verbo declinato in vari capitoli, dalla produzione alla postproduzione, dai produttori alla pausa ai prodotti stessi. La star è senza dubbio David LaChapelle, figura nota anche ai non addetti ai lavori, di cui viene presentato, in Pinacoteca, il recente ciclo «Paesaggio-Land Scape», ricostruzione in studio, tra ludico e apocalittico, delle grandi infrastrutture necessarie alla produzione e alla distribuzione del petrolio. In studio si formano le immagini della serie «My things» del cinese Hong Hao, presente al MAMbo, nella quale si ritrovano, in una sorta di collage digitale, gli oggetti usati, raccolti, conservati e scansionati dall’artista nel corso di ben dodici anni, un’elegia al nostro ruolo di consumatori attraverso immagini di grande impatto visivo.
Anche Edward Burtynsky affronta il suo tema, il paesaggio industrializzato, con immagini spettacolari, di grande formato, che nascono però dalla ripresa diretta dei soggetti, nel solco della tradizione documentaria; quella stessa tradizione che ha fatto nascere le fotografie della «Poesia dei giganti» di Luca Campigotto, fotografo italiano, diviso tra Milano e New York: nei dock di quest’ultima, nella natia Venezia e nel porto di Genova sono nate le immagini potenti di questa mostra, che insieme a quella, sorprendente, di Winston Link sulle ferrovie americane della metà degli anni Cinquanta, chiude la sezione dedicata alla produzione.
Sui produttori, quindi sugli uomini che costruiscono le macchine che realizzano gli oggetti, sono concentrati Pierre Gonnord, franco-spagnolo, Neal Slavin, americano giustamente riportato alla ribalta dopo un lungo periodo di assenza dalle scene e Gianni Berengo Gardin, seconda presenza italiana, con un’antologia della sua opera che ha come protagonisti «l’uomo, il lavoro, la macchina».
Sorprendenti per diverse ragioni le due mostre che costituiscono il capitolo «pausa»: la prima è infatti dedicata a Kathy Ryan, leggendario capo servizio fotografico del «New York Times Magazines», che questa volta invece di scegliere e commissionare lavori si mette in mostra in prima persona, attraverso una serie di foto realizzate con il suo iPhone nella nuova sede del giornale progettata da Renzo Piano.
La seconda è esplicita sin dal titolo, «Biografia del cancro», serie di immagini prese dal chirurgo coreano specializzato in oncologia Jason Sangik Noh, una sorta di diario di lavoro e soprattutto del rapporto tra il medico, le strutture e il paziente.
Infine, le mostre di Hein Gorny e Leon Gimpel portano lo spettatore nel passato, nella Germania degli anni Venti e Trenta il primo, nella Francia dello stesso periodo il secondo: Gorny racconta i prodotti dell’industria del tempo, tra documentazione e pubblicità, Gimpel si misura con le luci della città in affascinanti autochrome, le antenate delle fotografie a colori.
Alla Fondazione Mast, per chiudere, i finalisti della quarta edizione del Premio GD4Photoart, Marc Roig Blesa, Raphaël Dellaporta, Madhuban Mitra-Manas Bhattacharya e Oscar Monzón, a conferma della vocazione mecenatesca e della proiezione sul futuro del progetto Mast.
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