Da Sprüth Magers tutta la carriera dei Becher

La retrospettiva della storica coppia occupa due sale della galleria berlinese

«Grain Elevators» (1977-91), di Bernd & Hilla Becher. Foto: Sprüth Magers
Francesca Petretto |  | Berlino

Nella sua sede principale sulla Oranienburger Straße, la Galleria di Monika Sprüth e Philomene Magers ospita per la prima volta, fino all’11 novembre prossimo, una ricca retrospettiva dedicata all’ultracinquantennale sodalizio artistico «made in Düsseldorf» di Bernd (1931-2007) e Hilla Becher (1934-2015), coppia anche nella vita, semplicemente intitolata come il loro celebre marchio di fabbrica: «Bernd & Hilla Becher».

Il loro è un nome che ha fatto la storia della fotografia novecentesca, all’insegna di precisione, dettaglio, rigore formale ma anche di uno stile iconico, trasversale a categorie e correnti artistiche, che rimane ineguagliato. Fotografando sistematicamente edifici industriali di uso comune, tanto in Europa quanto in Nord America, i Becher hanno catturato un paesaggio architettonico in via di estinzione.

Avvicinandosi alle strutture con interesse scientifico, gli artisti hanno classificato, confrontato e contrapposto i loro soggetti in vari gruppi e «tipologie» (come avevano battezzato le loro celebri griglie). Di queste, due nello specifico vengono esposte nella mostra berlinese, dove una di esse, quella delle «sculture anonime», è composta da una rara quantità di 24 fotografie: immagini intriganti che alludono al significato culturale e sociale delle costruzioni ritratte.

La mostra ripercorre comunque tutta la carriera della coppia tedesca che, dagli anni ’60 in poi, smontò il divario accademico tra fotografia d’autore e documentaria, creando un nuovo genere, ibrido e denso di fascino, e un nuovo stile ispirato dalla Neue Sachlichkeit (il movimento artistico tedesco della Nuova Oggettività che ebbe il suo apice negli anni della Repubblica di Weimar, 1918-33) e capace di raccontare l’architettura dell’industria pesante con un preciso lessico visivo e una certa, fredda poesia.
«Torre di raffreddamento» (1982), di Bernd & Hilla Becher. Foto: Sprüth Magers
Con chiarezza e coerenza, le composizioni che Bernd e Hilla realizzavano con fotocamere di grande formato montate su treppiede e una vasta gamma di obiettivi con diverse lunghezze focali e filtri centrano otticamente i soggetti, denudandoli e mettendo in secondo piano il paesaggio circostante, ottimizzando la luce, ottenendo i riconoscibili cieli chiari, riducendo al minimo le ombre.

Eppure, pur registrando il mondo così com’è, senza fronzoli o commenti d’autore, i Becher hanno sviluppato un codice visivo, una sorta di grammatica che trova l’equilibrio tra uno sguardo oggettivo e sobrio, ma allo stesso tempo immediatamente identificabile e unico, e perciò, forse senza volerlo, persino un po’ personale.

Nella prima sala della galleria sono esposti cinque raggruppamenti di opere, ognuno dei quali raffigura una struttura diversa, per la costruzione di torri di trasporto per lavoratori e materiali su e giù dalle miniere. Nella seconda invece, secondo una delle disposizioni formali preferite dal duo, vengono presentate sedici vedute di montacarichi per cereali che evidenziano le differenze scultoree tra edifici funzionalmente simili.

© Riproduzione riservata «Torre a vento» (1972), di Bernd & Hilla Becher. Foto: Sprüth Magers
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