Da Phillips l’astrazione secondo Richter e de Kooning

Nella settimana delle aste di Londra due importanti tele di grande formato offerte dal collezionista francese Marcel Brient

«Mathis» (1983) di Gerhard Richter (particolare), stima 11,3-16,98 milioni di euro. Cortesia di Phillips
Elena Correggia |

Una sinfonia orchestrata sulle diverse note dell’astrazione. È il dialogo fra due maestri quali Willem de Kooning e Gerard Richter a richiamare l’attenzione sull’asta in programma da Phillips il 2 marzo a Londra. Le loro opere sono entrambe offerte dal collezionista francese Marcel Brient, self made man che dalla fine degli anni ’50 ha saputo individuare molti talenti pittorici sul nascere, rivelando un occhio attento e sensibile. Di Richter va all’incanto un vigoroso lavoro giovanile, «Mathis», del 1983, (stima 11,3-16,98 milioni di euro), periodo cruciale per la trasformazione del suo linguaggio, che si allontana dalla pittura fotorealista tipica della produzione degli anni Sessanta per accostarsi a una visione astratta potente, fatta di colori acidi, nuove trame e improvvisazioni.

La tela in vendita è parte di una serie di quattro lavori astratti tutti intitolati a persone (Mathis, Martha, Marian e Maria) che si inseriscono in questa nuova fase di sperimentazione e di forza pittorica. Grande formato ma registro assai diverso per «Senza titolo», l’opera creata da De Kooning nel 1984, che segna il suo ritorno alla pittura dopo un periodo di problemi di salute (7,9-10,19 milioni). Il lavoro esprime un pensiero maturo, un’astrazione elegiaca, dai toni pacati intonati a un’atmosfera ariosa, intessuta di poche linee morbide e dalle cromie pastello, un luminoso spazio che riduce all’essenziale l’eco del paesaggio di East Hampton.
«Senza titolo» (1984) di Willem de Kooning, stimato 7,9-10,19 milioni. Cortesia di Phillips
L’asta serale di arte del XX secolo e contemporanea di Phillips comprende anche altri nomi di spicco. Fra questi Anselm Kiefer con «Walhalla» (794mila-1,13 milioni) del 2016, esposta per la prima volta nello stesso anno alla galleria White Cube di Londra. Intrisa di memoria storica e cultura tedesca, l’opera richiama il leggendario oltretomba degli eroi secondo la mitologia germanica e collega questo concetto al senso identitario della nazione e alla tragedia nazista all’interno di una visione ciclica dell’esistenza, dove morte e fallimento incorporano già in sé stessi il concetto di rinascita.

Monumentali e ritmate contorsioni plastiche sono invece l’esito del lavoro scultoreo di John Chamberlain, che dà dignità artistica a rottami di automobili e scarti di metallo accartocciato, come ben racconta l’esito di «Sprayed Myopia» del 1988 (737-964mila). Un virtuosismo delle forme, questa volta evocativo di corpi che emanano energia ed erotismo, prende vita grazie alla pennellata gestuale di Cecily Brown che in «Skulldiver II» cita un amplesso senza disvelarlo, attraverso una pittura pastosa, materica e sensuale (1,13-1,7 milioni).

Fra gli artisti delle generazioni più giovani si fa notare Caroline Walker con «Threshold» (170-227mila), che nel soggetto della piscina e nell’approccio allo stesso sembra citare David Hockney, ma in realtà segue un percorso personale, ispirato al linguaggio foto e cinematografico, da cui trapela una sottile inquietudine. Uno sguardo anticonvenzionale sull’infanzia e la memoria è compiuto poi da Claire Tabouret ne «L’attente», del 2015, (204-318mila) dove un gruppo di bambini in posa, travestiti con costumi di Carnevale, sono il tramite per spingersi ad un’analisi fra essenza e apparenza, fra ruoli codificati e libertà espressiva, fra indecifrabilità del passato e incomunicabilità del vissuto.

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