Da Gagosian l’allieva di Richter è una pittoscultrice

La Madonna col Bambino di Karin Kneffel omaggia l’arte antica e il rapporto madre-figlio

«Untitled» (2021), di Karin Kneffel. © Karin Kneffel. Cortesia dell’artista e di Gagosian
Guglielmo Gigliotti |  | Roma

Dodici dittici realizzati da Karin Kneffel nel 2021, ed esposti da Gagosian in occasione della mostra «Face of a Woman, Head of a Child», dall’11 novembre al 14 gennaio, segnano il ritorno della pittrice tedesca nella città eterna. L’artista, nata a Marl (in Renania Settentrionale-Westfalia) nel 1957, e dagli anni Ottanta residente a Düsseldorf, era stata ospite nel 1996-97 dell’Accademia Tedesca di Villa Massimo in qualità di borsista.

Si innamorò della capitale e dell’arte antica e, dopo 25 anni, il suo ritorno in Italia è all’insegna proprio di un omaggio alla storia dell’arte. Allieva di Gerhard Richter all’Accademia di Belle Arti di Düsseldorf tra il 1981 e il 1987 (precedentemente aveva studiato filosofia all’Università di Münster), ha sempre adottato la pittura come strumento di riflessione sulla stessa pittura e sulla sua relazione con la realtà e l’immaginazione. Il ciclo che presenta da Gagosian ha come soggetto unico «ritratti» di sculture tedesche del Quattrocento e del Cinquecento, rappresentanti la Madonna col Bambino. I dittici con i due personaggi evangelici evidenziano, nella messa a fuoco delle loro espressioni, una fissità ancora tardo medievale e, al contempo, grande poesia espressiva.

L’autrice si è confrontata con l’attualità di un’arte senza tempo, capace di alimentare le meditazioni di un’artista contemporanea. Tra le righe dell’omaggio si impone tuttavia il tema del rapporto tra una madre e un figlio che, a prescindere dal significato religioso delle opere di riferimento, è uno dei perni dell’umanità. Tutti sono figli di qualcuno e questo dato condiziona a livelli profondi l’intera esistenza: l’artista di fatto è colui che sa trarre da questo dato un’allegoria. Per Kneffel essa è affiorata alla mente nella fase della pandemia, durante la quale i valori universali sono emersi con particolare drammaticità.

Di qui il bisogno di reperire in sé e nell’esperienza comune un simbolo di vita assoluta. Non è la prima volta che la pittrice effettua questa «pesca» nel mare della storia delle immagini, avendo già in passato citato nei suoi dipinti opere di Kandinskij, Kokoschka, Kirchner eccetera. Ora fa un salto all’indietro ancora più ampio, alla ricerca di un rispecchiamento che confermi il suo assunto, secondo cui «l’arte è una menzogna, non compete con la realtà. La realtà della pittura è una realtà, la realtà della vita quotidiana è un’altra realtà».

Una filosofia che richiama quella del suo maestro Gerhard Richter, ora novantenne, suo amico e collega, ma in gioventù temuto, per il suo carattere introverso e riservato, capace di esprimere tutte le sue potenzialità solo nella realtà della pittura.

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