Da Axel Vervoordt l’arte italiana di Marco Tirelli

Tra spunti provenienti dalla storia dell’arte e memorie personali, la pittura dell’artista romano attrae per l’abilità tecnica con cui rappresenta i territori della mente

Un’opera di Tirelli in mostra da Axel Vervoordt Un’opera di Tirelli in mostra da Axel Vervoordt (particolare)
Monica Trigona |  | Wijnegem

«Quando noi guardiamo le cose che sono intorno a noi, che ci circondano, crediamo di avere un rapporto oggettivo con la realtà, cioè crediamo di conoscerla per quello che è. In realtà, come anche la scienza del ‘900 ci ha insegnato, e anche i grandi filosofi del passato, noi condizioniamo sempre con il nostro sguardo quello che stiamo guardando. E questo, è un punto, secondo me, centrale perché vuol dire per un artista, che si pone davanti alla realtà, “cosa sto osservando?”» chiosa Marco Tirelli presentando i suoi lavori esposti alla Axel Vervoordt Gallery di Wijnegem, in Belgio, sino al 2 marzo.

Romano, classe 1956, tra coloro che, a partire dagli anni Ottanta, ha vissuto il clima di generale «ritorno alla pittura», è stato parte di quella compagine di creativi identificata come «Nuova Scuola Romana» assieme a Gianni Dessì, Domenico Bianchi, Nunzio, Piero Pizzi Cannella, Giuseppe Gallo e Bruno Ceccobelli.

Sempre molto attivo in Italia e all’estero, l’artista, per gli ampi spazi della galleria vicino ad Anversa, ha concepito un allestimento con quattordici lavori di grande formato realizzati con diverse tecniche: aerografo, stencil, inchiostro, carboncino su tela, litografia e fotografia.

In questo nucleo appare centrale il tema della memoria sviluppato attraverso visioni che nascono da esperienze vissute o sviluppate concettualmente.
Il territorio della mente accoglie una moltitudine di immagini o, come le definisce l’autore «ombre». Questi ricordi, più o meno definiti, riaffiorano su tele in bianco e nero, pervasi da una luce rivelatrice che svela solo alcuni elementi, quelli che lo sguardo dell’artista ha recepito e immagazzinato per qualsivoglia motivo.

Scorci paesaggistici, interni onirici, nature morte, dettagli corporei, motivi geometrici sono soggetti di composizioni che richiamano il modus operandi dei «pointilliste», quel modo di dipingere per piccoli punti che, nei quadri in mostra, hanno l’aspetto di particelle di luce. L’utilizzo dell’aerografo non è casuale: la sua traccia crea una sorta di fitta grana che pare composta da atomi galleggianti e che imprime vitalità alla scena.

La memoria e le sue infinite, imprevedibili, manifestazioni lasciano allo spettatore la possibilità di immedesimarsi in visioni altrui (proprio per questo le opere non hanno un titolo: il titolo esprimerebbe un punto di vista personale).

Tra le numerose rassegne a cui l’artista ha preso parte negli anni si ricordano la partecipazione alla XLIV Biennale di Venezia con una sala a lui dedicata, nel 1990 e, nello stesso anno, alla Biennale di Sydney, l’antologica all’Institut Mathildenhöhe di Darmstadt nel 2002, presentata l’anno successivo alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna. Tra le più recenti esposizioni spiccano poi quella al Museo di Palazzo Fortuny di Venezia del 2010 e al Macro di Roma nel 2012 oltre a una sala personale nella mostra «Vice Versa», Padiglione Italia, alla LV Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia nel 2013.

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