Così Afro meditava su Piero
Alla Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea un’indagine inedita sulla stagione figurativa dell’artista negli anni Trenta, a iniziare dai grandi cicli murali

Adiacente alla Chiesa di San Francesco con il celebre ciclo delle «Storie della Vera Croce» di Piero della Francesca, la Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea è la sede, dal 2 giugno al 22 ottobre, della mostra «Afro. Dalla meditazione su Piero della Francesca all’Informale». Curata da Marco Pierini con il coordinamento scientifico di Alessandro Sarteanesi, è organizzata dalla Fondazione Guido d’Arezzo con il Comune, in collaborazione con Fondazione Archivio Afro, Magonza e Museo di Arte Moderna Greca di Rodi.
Il titolo si riferisce a una considerazione di Afro (Udine, 1912-Zurigo, 1976) su Piero, rilasciata durante un’intervista: «Dimentica i pieni, cioè le figure, e osserva la perfezione delle forme dei vuoti. Impara a leggere i quadri antichi prescindendo dalla figura e imparerai a trovare gli stessi valori nei quadri moderni che all’apparenza non hanno un rapporto naturalistico». È questo il punto di partenza di un’indagine in larga parte inedita, tesa a focalizzare i grandi cicli murali realizzati dall’artista udinese negli anni Trenta.
«Il nostro principale obiettivo era riscattare un giovane che ha poi dovuto aspettare quasi i 40 anni per vedersi riconosciute dalla critica un’originalità e una continuità che aveva invece sempre avuto, afferma Pierini. La mostra ricostruisce la fase immediatamente precedente il breve ma fondamentale periodo neocubista attraversato da Afro nell’immediato dopoguerra. Ad essa abbiamo aggiunto una “coda” che arriva agli anni ’50, quando appare ormai chiara l’evoluzione della sua arte verso l’Informale.
L’Afro figurativo degli anni Trenta, alle prese con i grandi cicli murali di Rodi e Roma, è stato spesso liquidato in poche parole perché legato a modelli apparentemente contraddittori rispetto alle ricerche successive. Con un linguaggio che oggi non useremmo più, Venturi parlava di decorazione, sostenendo che per Afro decorazione e arte si identificavano e volendo dire che la sua terra di origine (il Friuli, ma anche il Veneto e quella Venezia in cui si è formato) rimane un imprescindibile punto di partenza. In particolare, il mai rinnegato amore per Tintoretto ma soprattutto Tiepolo, evidente nei cicli di Rodi, rimarrà costante in un autore che ha sempre affermato di essere classico».
Seguendo un impianto cronologico, la mostra affronta il tema della pittura murale dedicando un’intera sala a Rodi e al «Ciclo delle Stagioni», proveniente dal Comune dell’isola ed esposto per la prima volta. Il grande progetto per il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi del complesso E42 all’Eur è invece protagonista di un’altra sala, in cui video, documenti, fotografie e riviste affiancano l’eccezionale prestito, da parte dell’Archivio di Stato di Roma, dei grandi cartoni preparatori di 6 metri di altezza, appositamente restaurati, raffiguranti le Scienze e le Arti, insieme al prezioso bozzetto preparatorio per «Le attività umane e sociali».
Due sale più piccole introducono l’evoluzione dell’artista negli anni ’50, con prestiti dalla Fondazione Archivio Afro di Roma relativi al grande murale per la sede parigina dell’Unesco (1958). «In tutto ciò non c’è sala che non parli di Cesare Brandi, conclude Pierini, l’unico che dalla seconda metà degli anni Trenta all’estremo percorso di Afro non l’ha mai abbandonato, accompagnando con grandissima lucidità un artista a cui ha forse dedicato le pagine più belle. Tutti i lavori di Rodi nascono addirittura su sua commissione, dato che Brandi si trovava nel ’38 sull’isola per il Ministero della Pubblica Istruzione».