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Cortigiani e immortali

Luca Emilio Brancati

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Al Mao, con un’appendice «scenografica» a Villa della Regina, i tappeti della dinastia Qing con novità sulla cronologia

Erano passati quasi trent’anni da quel 1986 quando, al Museo della Montagna di Torino, venne allestita «Antichi tappeti dell’Anatolia e del Caucaso», l’ultima mostra pubblica di un certo rilievo su un tema affascinante, ma poco toccato dagli accademici. Eppure la città ha un trascorso glorioso: nel 1948 l’allora direttore del Museo di arte antica a Palazzo Madama, Vittorio Viale, vi organizzò la prima mostra italiana di tappeti e arazzi che ancora oggi rappresenta un riferimento per gli studiosi.

Negli anni non sono comunque mancate belle mostre nelle gallerie antiquarie cittadine e non sono venute meno esposizioni a tema nei musei pubblici di altre città italiane come, nel 2014, la bellissima «Il giardino del Paradiso» al Museo Poldi Pezzoli di Milano e la fondamentale «Arte Ottomana 1450-1600» a Palazzo Lomellino di Genova. C’era dunque una giustificata attesa per «Il drago e il fiore d’oro. Potere e magia nei tappeti della Cina imperiale», nuovo appuntamento espositivo del Mao-Museo d’Arte Orientale di Torino che, dopo le due ultime suggestive mostre fotografiche organizzate in collaborazione con il National Geographic, ha deciso di optare per qualcosa di diverso e, come spiegato dal neodirettore Marco Biscione, di puntare direttamente a qualcosa di tangibile. Si è scelto quindi il tappeto, anzi un gruppo omogeneo di 36 tappeti cinesi in seta e metallo prodotti nel corso della dinastia Qing (1644-1911), realizzati appositamente per gli ambienti del Palazzo Imperiale della Città Proibita. L’operazione è stata organizzata in partnership tra il museo torinese e la Fondazione Museo Asia, un ente di recente costituzione che vede tra i promotori i fratelli Enzo e Roberto Danon, noti mercanti e conoscitori romani con una consolidata storia espositiva alle spalle, anche internazionale.

La curatela generale e la scelta dei pezzi in esposizione, interamente di provenienza privata, italiana ed europea (il museo non ne possiede), è stata affidata ai fratelli Danon con il supporto, per il più generale inquadramento culturale e per gli aspetti interpretativi, del conservatore per l’arte dell’Estremo Oriente del Mao Marco Guglielminotti Trivel, dell’antropologa Loretta Paderni e del sinologo Filippo Comisi. Per l’occasione la direzione del museo torinese ha provveduto a un allestimento ad hoc lungo tutte le sale del piano terreno, con una messa in scena fascinosa e totalmente immersiva completa di musica originale e installazioni video, nella quale gli spot luminosi riservati ai pezzi esposti ne mettono in risalto colori, decori, caratteristiche formali e tecniche.

La mostra ha anche un’appendice scenica nella settecentesca residenza reale di Villa della Regina dove, grazie alla collaborazione con la Soprintendenza torinese, due dei tappeti sono stati collocati nei gabinetti «alla chinese». La mostra, aperta fino al 28 marzo, si sviluppa lungo un percorso di nove temi che offre al visitatore una lettura del panorama decorativo-simbolico dei tappeti, andando dalla raffigurazione del potere imperiale al pensiero religioso di derivazione taoista, dal protocollo di corte alla ricerca dell’immortalità. Una mostra piacevole, che sta ottenendo un buon successo di pubblico (15mila visitatori ca, fonte Mao) e che, nonostante alcune iniziali polemiche politiche innescate a causa della contiguità pubblico-privato, ha lodevolmente riacceso la luce sull’importanza culturale dei tappeti antichi.

Se però da un lato la mostra e il catalogo hanno il merito di approfondire molti aspetti della simbologia e della lettura stratificata dei manufatti esposti (quasi tutti inediti), non è stata, invece, adeguatamente affrontata la questione della cronologia: un aspetto certamente tecnico, ma non secondario in un’esposizione come questa. Questa tipologia di tappeti, ritenuta una produzione degli atelier imperiali di Beijing (l’antica Pechino), viene normalmente datata dal mercato mondiale, dalle case d’asta, ma anche dai molti esperti internazionali, tra la metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento; e se, in aggiunta, si approfondisce il tema specifico nella letteratura di riferimento, si evince come le opinioni siano molto differenziate: già Lorentz nel 1972 avvisava che non tutti erano da considerarsi «reali» tappeti di palazzo e Murray Eiland, nel 1979, metteva in guardia rispetto alla vasta produzione di repliche, sempre in seta e metallo e con le scritte della provenienza imperiale, fatte negli anni 1920-40 per compiacere il crescente mercato occidentale.

Consultando il catalogo, non sempre di facile lettura a causa dei riflessi provocati dalla carta lucida color oro, e le schede in mostra (anch’esse difficilmente consultabili perché scritte su fondo scuro e sovente collocate in penombra), si legge che la quasi totalità dei tappeti esposti è assegnata all’epoca Qianlong (1736-95) con occasionali datazioni anche all’epoca precedente e alle due successive, ma praticamente mai oltre il 1850. Ora, questa anticipazione di almeno mezzo secolo (quando non di cent’anni) rispetto alle datazioni correnti (anche sul medesimo pezzo, come, ad esempio, il tondo con i cinque leoni ex collezione Price venduto da Sotheby’s lo scorso 31 gennaio 2014) colpisce anche se, nel mondo dell’arte, la periodica revisione delle conoscenze non deve stupire. Non facendo né in mostra né in catalogo alcun accenno a dati oggettivi, quali sistematiche campagne analitiche sui coloranti o sui filati, la domanda sul metodo utilizzato è stata fatta direttamente ai curatori e Roberto Danon ha spiegato come la cronologia indicata al Mao sia il risultato di oltre dieci anni di studio e di confronti diretti tra gli esemplari (oltre 150 quelli esaminati su una base nota di circa 300), che ha permesso di stabilire analogie e di verificare le difformità così da consentire la costruzione di questa proposta attributiva. Sempre Danon ha anticipato che tra gli obiettivi della neonata Fondazione Museo Asia c’è proprio lo studio sistematico di questi tappeti e i relativi dati saranno resi disponibili nel prossimo futuro agli studiosi. È una promessa. 

Luca Emilio Brancati, 10 marzo 2016 | © Riproduzione riservata

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