La sequenza fotografica mostra com'era la Chiesa di San Salvatore in Campi e com'è ora

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La sequenza fotografica mostra com'era la Chiesa di San Salvatore in Campi e com'è ora

Come si ricostruisce a Norcia

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Redazione GDA

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Norcia (Pg). Ricostruire monumenti devastati dal terremoto si può. Servono tempestività, tempo, molta pazienza, cautele, pianificare, eppure risarcire le ferite è possibile, almeno quando le pietre sono state recuperate. Anche quelle affrescate. La Chiesa di San Salvatore in Campi, presso la frazione a una decina di minuti a nord di Norcia, verso Preci, può diventare un cosiddetto caso di studio.

Le drammatiche foto dei primi di novembre 2016 mostravano la violenza del disastro: dopo la scossa micidiale del 30 ottobre un cumulo di macerie superiori ai due metri e mezzo copriva la facciata, letteralmente annientata, e occupava quanto restava delle due navate. Era una scena disperante. Sembrava una sorte senza possibilità di appello. Invece, assicurano i tecnici, la chiesa potrà rinascere.

Iniziata la terza fase
L’edificio è diventato presto un cantiere-pilota dopo il sisma. La chiesa medioevale, rimaneggiata nei secoli, era affascinante: ha affreschi dal Due al secondo Quattrocento (alcuni di Antonio e Giovanni Sparapane della famiglia di pittori di Norcia, notevole la Crocifissione nel presbiterio sinistro) ed è una lucida testimonianza dei vari passaggi culturali dell’epoca nell’Appennino.
Con i Sibillini sullo sfondo e il casco d’ordinanza in testa, descrive i lavori in corso una squadra del Ministero Beni e Attività culturali e del Turismo guidata dalla soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria Marica Mercalli. La affiancano l’architetto Stefania Argenti dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro, lo storico dell’arte della soprintendenza umbra Gianluca De Logu e l’ingegnere e docente all’Università di Genova Stefano Podestà. Dopo un primo lavoro per rendere sicure le strutture rimaste in piedi e portare al riparo al deposito del Santo Chiodo (Spoleto) le opere mobili, la seconda fase è finita il 12 dicembre 2017.

Il 18 aprile 2018 è iniziato il terzo capitolo del restauro: il registro cambia e la soprintendente con gli altri tecnici la raccontano a «Il Giornale dell’Arte» sapendo che qui si gioca una partita più ampia del singolo episodio. Nel frattempo la scossa del 10 aprile pur non avendo provocato danni ai muri si è sentita e obbliga a stare sempre all’erta. Non facilita il lavoro e tiene gli abitanti sul filo della resistenza psicologica. Anche se sembra iniettare più determinazione ai tecnici.

Recuperato il 99% dei conci
Torniamo alla fase due dei lavori: i tecnici hanno recuperato, controllato, numerato e consolidato i conci (i blocchi di pietra) affrescati, quelli scolpiti e quelli semplici. Quanti sono? «Abbiamo recuperato il 99% di quelli affrescati», risponde l’ingegnere. «Sono tutti numerati. E abbiamo individuato la posizione precisa di ogni concio e abbiamo la documentazione fotografica. La facciata per esempio può essere ricostruita tutta», osserva Delogu fiducioso. A scrutare i due monconi laterali rimasti, il profano fatica a immaginare. Eppure i tecnici garantiscono: occorre studiare bene e pensare sulla lunga distanza, non fermarsi all’oggi.

L’interno aveva due alte navate e una sorta di iconostasi o di pontile praticabile che attraversa orizzontalmente lo spazio centrale della chiesa. Gran parte di questa struttura è crollata. La causa? «Un cordolo di cemento armato e una muratura armata con il loro peso hanno distrutto l’iconostasi», risponde Podestà. Sulla parete destra sopravvive una porzione di una volta: già puntellata, il puntellamento verrà esteso con un complesso sistema mobile. Un elemento decisivo che dovrebbe valere ovunque possibile: l’intera chiesa ha una copertura realizzata subito dopo la scossa del 30 ottobre 2016, una grande tettoia che svetta tra i prati. Lo scopo è palese e doveroso: copre da pioggia e neve gli affreschi, le pareti, le pietre. Però, precisa Marica Mercalli, qui si può agire con più facilità perché la chiesa ha un’ottima posizione, è isolata sul pianoro. Tra le case, come a Norcia, un cantiere è più complicato.

Servono tecnici per le emergenze
Forte dell’esperienza maturata nella Basilica di San Francesco ad Assisi nel ricomporre le volte affrescate dopo il terremoto del 1997, come avverte Stefania Argenti, l’Iscr (Istituto Centrale per la Conservazione e il Restauro) ricomporrà i conci con i frammenti delle pareti affrescate. Uno a uno. Per rendere l’idea con un’immagine classica, si tratta di montare le immagini come fossero un puzzle. Ci sarebbe da impazzire se ogni tassello non fosse catalogato. Infatti è catalogato.

La soprintendente vuole aprire ai visitatori il laboratorio per restauri, con visite organizzate naturalmente, ponendo come condizione preliminare l’incolumità di chi viene a vedere il cantiere dacché reputa già prioritaria la sicurezza di chi lavora alla polvere, al vento, al sole e alla pioggia tra queste pareti monche (tra l’altro San Salvatore in Campi è interamente video sorvegliata 24 ore su 24). Infine Mercalli manifesta una necessità collettiva che travalica la singola chiesa e riguarda tutti: «Bisogna formare tecnici a intervenire nell’emergenza dei terremoti con una preparazione apposita, nelle prime ore si gioca tutto».

La sequenza fotografica mostra com'era la Chiesa di San Salvatore in Campi e com'è ora

Redazione GDA, 27 aprile 2018 | © Riproduzione riservata

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