Cinquant’anni di moderno e contemporaneo ai Vaticani
La collezione nel tempo è passata dalle originarie 900 opere alle attuali 9mila, dispiegate nelle sale dell’Appartamento Borgia e lungo il percorso verso la Cappella Sistina

Il Crocifisso di Mimmo Paladino, all’ingresso del Museo Anima Mundi (la raccolta etnografica dei Musei Vaticani), racchiude il senso della mostra «Contemporanea 50. La Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea dei Musei Vaticani 1973-2023», da oggi 22 giugno aperta presso i Musei del Papa. «Aggiungere l’espressione dell’arte contemporanea a tante collezioni di arte antica» era difatti l’idea che mosse papa Paolo VI nell’inaugurare, il 23 giugno del 1973, il primo nucleo della Collezione d’Arte Religiosa Moderna, come ha ricordato Micol Forti, che della raccolta è curatrice.
La mostra (visibile sino al 24 settembre), che si snoda attraverso un percorso diffuso di dieci opere in dieci ambienti dei Musei, è il modo in cui si è deciso di celebrare il cinquantenario della Collezione, che è passata dalle originarie 900 opere, sino al numero di 9mila fra dipinti, sculture, vetrate, arazzi, lavori su carta, opere polimateriche, fotografie, installazioni, videoarte e modelli architettonici.
Le opere, allora come oggi, sono dispiegate nelle sale dell’Appartamento Borgia e lungo il percorso che conduce, al piano inferiore, verso la Cappella Sistina. Per la mostra diffusa, oltre al citato Paladino, gli artisti selezionati da Micol Forti, assieme a Francesca Boschetti e Rosalia Pagliarani, per punteggiare, con la presenza dell’arte dei nostri giorni, luoghi differenti dei Musei Vaticani, sono: El Anatsui, Monika Bravo, Alain Fleischer, Paolo Gioli, Giuliano Giuliani, Elpida Hadzi-Vasileva, Pietro Ruffo, Guido Strazza e Ivan Vukadinov.
I planisferi in carta spillata di Pietro Ruffo, ad esempio, sono posti in relazione con i grandi planisferi della Galleria della Biblioteca Vaticana, mentre l’installazione di Monika Bravo, dedicata al Vangelo di Giovanni, dialoga con il Sarcofago dogmatico del Museo Pio Cristiano. In Pinacoteca, infine, «La Grande Aura» di Strazza gioca con le vibranti cromie delle tele di Federico Barocci.