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Tina Lepri
Leggi i suoi articoliPer oltre un secolo molti dei tesori sono rimasti nascosti nei depositi. Tra i pochi in mostra è bastata l’immagine eccezionale di un orecchino d’oro a rendere celebre in tutto il mondo il Museo Archeologico Nazionale di Taranto («Marta»). Da più di 15 anni il «Marta» è scomparso dagli itinerari turistici, dimenticato dalle guide, declassato e ignorato nei convegni internazionali. Uno dei più importanti musei archeologici del mondo, famoso per la straordinaria raccolta di ori d’età classica, è rimasto semichiuso dal 1998, poi chiuso del tutto per otto anni, fino al 2007 a causa di interminabili lavori a singhiozzo. Negli anni recenti, aperture parziali, incerte, pochi oggetti esposti in misere vetrine. Finalmente, entro Natale, il Marta rinasce per tornare nell’élite dei musei archeologici ampliato e rinnovato. Tutto cambiato, una vera rivoluzione strutturale: il vecchio piano terra ma soprattutto l’intero primo piano, nove sale, aperte per la prima volta, e lavori avanzati per conquistare anche il secondo piano, già occupato dagli uffici. Entro il 2014 gli spazi espositivi saranno così raddoppiati rispetto a quelli dell’edificio settecentesco sede del museo dal 1887 (ex convento dei frati Alcantarini). Il costo di tutta l’operazione è di 5 milioni, già stanziati dal Mibact e in parte spesi: 1 milione 600mila euro per il primo piano, il resto per il secondo. Disponibili anche 1,26 milioni stanziati dall’ex Ministro dell’Ambiente Corrado Clini nel febbraio del 2013 per ridurre i consumi elettrici e migliorare le prestazioni energetiche e termiche del Marta (fondi comunitari del programma «Risparmio energetico ed energie rinnovabili 2007-20013»).
«Le nuove sale, spiega Antonietta Dell’Aglio, direttrice del Marta, avranno un allestimento cronologico e insieme tematico. Non più singoli reperti, come il famoso orecchino, simbolo degli ori di Taranto, ma interi corredi tombali, descrizione delle necropoli, ricostruzioni virtuali in touch-screen, pannelli anche in inglese. Esporremo i “mai visti”, contesti funerari intatti scavati negli ultimi dieci anni: mosaici eccezionali, terrecotte, come quelle emerse da poco dall’ipogeo sotto la Cattedrale di San Cataldo. E i vetri romani intatti. Una collezione stupenda sacrificata nei depositi insieme con altri capolavori frutto degli scavi degli ultimi due secoli e mai esposti». Il museo racconterà la storia, anche economica, delle diverse civiltà che si sono succedute a Taranto e in Puglia, dalla preistoria alla conquista greca e poi romana, al periodo tardo antico, alto medievale e bizantino. «Tutto verrà “contestualizzato”, continua la direttrice: tanti ori mai esposti, del III e II secolo a.C., gioielli con straordinarie pietre colorate, una vera sorpresa. E ancora oro, fino all’epoca romana, in una dozzina di corone, e bracciali, collane, unguentari preziosi dalle celebri tombe di Canosa e altre, ricostruite com’erano, con le maschere teatrali, gli strumenti musicali, le stoffe: sì, proprio i filati aurei degli abiti, insieme con centinaia di pezzi d’artigianato di oltre 2mila anni fa». Non sarà soltanto una rassegna di meraviglie, come in passato. Anche i tanti tesori che rimarranno nei depositi per mancanza di spazio saranno in mostra a rotazione: in un piccolo spazio al piano terra del Marta e, promette il soprintendente per i Beni archeologici della Puglia Luigi La Rocca, in due importanti edifici: il complesso di San Domenico con il suo famoso Chiostro trecentesco, già pronto, e l’ex convento di Sant’Antonio «dove i lavori sono in corso con 3 milioni e mezzo di fondi Poin. Stiamo costruendo i “nuovi corpi” del Museo, dice La Rocca, dove avremo anche i laboratori di restauro, e dove sono custoditi i ricchissimi depositi della Soprintendenza». I depositi conservano anche i reperti recuperati dalle Forze dell’Ordine, in una delle regioni dove scavi e traffico illegali sono da sempre un grande affare per la criminalità organizzata.
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