Che cos’è e a che cosa serve la carta di identità conservativa

I Musei di Modena cambiano prospettiva prediligendo la meno costosa conservazione programmata rispetto al restauro

Conservatori a lavoro nelle sale delle Gallerie Estensi di Modena
Valeria Tassinari |

Nel Palazzo dei Musei di Modena il Piano di conservazione programmata avviato lo scorso gennaio ha dato l’opportunità ai visitatori di assistere ai lavori e interagire con i professionisti impegnati nelle attività di studio, manutenzione e piccolo restauro, e vivere in diretta le azioni di spolveratura, analisi e diagnostica preventiva svolte direttamente nelle sale. Vedere il museo non solo come spazio espositivo ma anche come officina animata dalle persone che si prendono cura del patrimonio e della sua consistenza materiale è stato uno, e non certo il meno significativo, degli obiettivi del progetto Giorno dopo giorno nel museo; un’idea sostenuta da Martina Bagnoli, direttrice delle Gallerie Estensi perché «I musei non sono fatti solo di cose o di palazzi, ma anche e soprattutto dalle persone che con passione e diligenza si occupano delle collezioni ogni giorno».

Così proprio quel lavoro fondamentale che di solito resta dietro le quinte è stato valorizzato e veicolato come buona pratica, per diffondere la conoscenza e la consapevolezza di quanto impegno e quanta competenza occorrano per la tutela del patrimonio. Ma se la socializzazione degli interventi ha avuto l’intento educativo di rafforzare il coinvolgimento dei giovani e del pubblico nella comprensione del valore del patrimonio come bene comune, l’esito del progetto riguarda l’essenza stessa dell’idea di prevenzione e conservazione.

In attesa di procedere in un secondo step con le oltre mille opere nei depositi, è stato infatti censito lo stato di salute di tutte le 427 opere esposte. Ne consegue che la loro condizione di conservazione nell’ambiente espositivo può essere valutata e, dove necessario, corretta o migliorata, ma soprattutto che ogni opera ha ora la sua carta d’identità conservativa, che consentirà di pianificare e ordinare gli interventi secondo le priorità, di ottimizzare tempi e risorse evitando i restauri d’urgenza (molto più costosi e invasivi) e contestualmente mettendo a disposizione degli studiosi esterni e degli operatori interni un database analitico, prezioso sia sul piano storico artistico sia su quello della programmazione economica. L’idea di operare preventivamente non è certo inedita in ambito museale, ma sappiamo quanto nella prassi comune questi principi vengano abitualmente disattesi per ragioni connesse alla mancanza di fondi o di personale per cui l’esperienza organica e concreta dei Musei di Modena si rivela una significativa prova di fattibilità.

Le azioni messe in campo per ricostruire la tecnica esecutiva e la vicenda conservativa pregressa di ogni manufatto (dal riconoscimento della condizione fisica attraverso l’analisi dei materiali per la scultura e le arti applicate e della superficie pittorica e dei supporti per i dipinti, fino alle analisi tecniche, agli interventi di spolveratura e alle attività di schedatura) sono state affidate a restauratori del Centro per la Conservazione e il Restauro Venaria Reale (Valeria Ponza, Davide Puglisi, Alessandro Gatti, Cristina Scarrone coordinati da Marianna Ferrero e Claudia Cardinali), grazie a un finanziamento di 80mila euro ottenuto con i fondi del Ministero della Cultura (Fondo per la tutela del patrimonio culturale legge 23 dicembre 2014, n. 190 disponibili per il triennio 2021-2023). Mentre il database museale sarà completato dalle immagini ad alta definizione acquisite durante la campagna fotografica, lo studio conservativo delle opere consentirà ai curatori di conoscere meglio le opere ai fini della redazione del catalogo scientifico delle collezioni e di proporre nuovi percorsi didattici, un ambito nel quale il museo modenese è particolarmente impegnato.

Convinta dell’importanza del cambiamento di prospettiva determinato da questo approccio multidisciplinare e previdente è Lucia Anna Margari, restauratore conservatore e responsabile del progetto che ne evidenzia il valore paradigmatico: «Grazie al lavoro sinergico tra tutte le figure professionali operanti nel museo, riusciremo a conservare e a valorizzare le opere con azioni mirate. È un cambio di paradigma coraggioso, fortemente sostenuto dalla direttrice Bagnoli, che consentirà di raggiungere un obiettivo: la sostenibilità della conservazione. Proprio in questo consiste il cambio di passo tra conservazione e restauro. Non più interventi urgenti e costosi, su casi eclatanti, ma un costante lavoro di studio, prevenzione e valorizzazione esteso a tutta la collezione».

Nella stessa ottica nei prossimi mesi si lavorerà anche sulla sezione medievale e moderna del Museo Lapidario Estense e si studieranno gli apparati decorativi del Palazzo Ducale di Sassuolo analizzandone le tecniche esecutive e lo stato conservativo mediante rilievi e mappature. I lavori richideranno due anni, ma la loro efficaciaavrà un effetto di lungo termine. Intanto il museo si fa già palestra per futuri restauratori, con gli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Bologna impegnati in una campagna di rilievo fotografico delle opere della Galleria Estense guidata dal docente Carlo Vannini.

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