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Carta del Rischio: Sicilia ora senza banca dati

Silvia Mazza

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In caso di sisma, come quello del 26 ottobre in Centro Italia (che al momento di andare in stampa pare aver provocato danni analoghi se non più ingenti di quello del 24 agosto), sul fronte del patrimonio culturale la Sicilia è destinata a brancolare nel buio, così moltiplicandone gli effetti devastanti.

Dal 2010, infatti, è stato chiuso il Sistema informativo territoriale (Sit) siciliano della Carta del Rischio: «Così in caso di terremoto in una regione con elevata sismicità come la Sicilia, operatori, Soprintendenze e Protezione civile non possono più accedere alla banca dati online, dove, per esempio, era possibile individuare immediatamente i beni compresi nella “buffer zone” di influenza sismica e stabilire le priorità». È ciò che chi scrive ha denunciato alla conferenza del 16 settembre scorso di Legambiente sul patrimonio nel Mediterraneo, nell’ambito di FestAmbiente a Palermo.

La Carta del Rischio, sorta di cartella clinica dei monumenti che mette in correlazione la loro vulnerabilità con le pericolosità del territorio, venne realizzata tra il 2002 e il 2009 dal Centro regionale per il Restauro di Palermo con alcune differenze rispetto ad altre realtà regionali e al modello dell’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro, adottando modalità di indagine e valutazione delle pericolosità più aderenti alle specificità del territorio regionale. Ma è certamente la quantità di beni censiti e georeferenziati nella banca dati (oltre 10mila, 2.500 dei quali con schedatura di vulnerabilità) a costituire la più significativa innovazione rispetto al modello nazionale. Con la chiusura del Sit, peraltro, sono stati gettati alle ortiche 4 milioni di fondi europei che il Centro aveva gestito, speso e concluso (cfr. n. 352, apr. ’15, p. 14 e online).

Silvia Mazza, 06 novembre 2016 | © Riproduzione riservata

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