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Flaminio Gualdoni
Leggi i suoi articoliNei depositi museali marcisce l’optima hereditas: una «panzana che fa fico»
Dunque, mettiamola così. Gli «scantinati» dei musei italiani sono farciti dfi «capolavori» evidentemente «dimenticati». D’altronde, quando si possiede oltre la metà dei beni culturali mondiali (l’altro giorno ascoltavo un dotto conferenziere che si è spinto sino al sessantacinque per cento…), è un po’ inevitabile, recita la postilla obbligata. In effetti questo è uno dei temi caldi del mondo d’oggi, degno di stare in un florilegio con i coccodrilli albini che infestano le fognature, i microchip che ci vengono inoculati sottopelle per controllarci e Jim Morrison che si gode da qualche parte una serena vecchiaia.
Per dirne una, a occhio e croce le condizioni di conservazione delle opere nei depositi degli Uffizi sono migliori di quelle garantite dalle stesse sale espositive. Per dirne un’altra, non è che nei depositi le opere primarie pullulino: importanti per mille ragioni, e doverosamente ben tenute, ma capolavori magari no. Solo che questa panzana fa fico dirla, magari con aria fortemente preoccupata per le sorti di «questo Paese»: chissà poi perché tutti dicono sempre «questo», con un retrogusto di vaga desolazione. Soprattutto fa manager efficiente e socialmente impegnato, ancorché dall’animo pelosetto, e un ritorno mediatico lo cattura sempre.
Lo scantinato (e la soffitta, nella variante più frequentata) evoca umidità e muffe e polvere annosa, antri in cui tutto è destinato a perdersi irrevocabilmente. Meglio farne qualsiasi altro uso che lasciar lì a deperire tutto quel bendiddio, l’«optima hereditas», infiorettano con cipiglio ciceroniano i più dotti: vender la roba sarebbe l’ideale ma, stanti il persistere di alcune leggi noiose e la testa dura di un mazzo di studiosi e funzionari reazionari, in subordine son buone tutte le ipotesi.
L’ultima trovata è quella, leggo nel sito AdnKronos, di distribuire un gran numero di opere di proprietà pubblica alle hall degli alberghi, il che sarebbe un modo smart di far conoscere ai turisti quale po’ po’ di bellezze possiamo esibire in gran copia e in perfetta souplesse. Naturalmente gli albergatori sono entusiasti, e qualche espertoide (gli espertoidi sono come i fattoidi: sembrano veri, ma è tutta apparenza) non ha mancato di benedire con calore l’idea. È un dovere di civiltà, salvare i quadri antichi dalle climatizzazioni efficienti e dalle cure professionali cui sono sottoposti per affidarli alle mani esperte di facchini e addetti alla reception, in un ambiente salubre in cui le luci fan quel che gli pare e il ricambio d’aria è garantito dalle porte girevoli. Evidentemente dirgli di andare al museo lì vicino, ai turisti, pare brutto, potrebbero stancarsi troppo. E poi non hanno mica tutto ’sto tempo da buttare, tra una boutique e un ristorante tipico. A proposito di reception alberghiera, ricordo ancora l’addetto di un hotel lussuoso nel centro di Milano il quale, alla domanda di un giapponese su dove potesse andare a vedere la Pietà di Michelangelo, spiegava con aria costernata che sì, a Milano una Pietà c’è, ma è «quella rotta».
E quanto ai manager solleciti nei confronti del destino delle opere in ostaggio nei suddetti scantinati, sinora non ne ho incontrato uno che un deposito museale si sia sentito in dovere di andarlo a vedere con i propri occhi, così giusto per. Detto tutto questo, una riflessione laterale continua a lampeggiare sorniona, e non si può non darle il giusto peso. I nostri eroi pensano proprio in grande. Quelli di Parigi, che devono avere degli scantinati belli grandi, si sono inventati il Louvre Lens e il Louvre Abu Dhabi. Noi siam qui che ci gingilliamo con l’Albergo Edelweiss e la Pensione Belvedere.
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