Venezia. Nelle sue fotografie bisogna entrare: che si tratti dei suoi immensi paesaggi, delle vedute urbane, dell’universo industriale, del patrimonio monumentale dell’antichità, ogni volta che Luca Campigotto realizza un’immagine lo fa predisponendo uno spazio capace di accerchiare lo spettatore, di immergerlo nello stesso mondo che lui ha percorso, e nella stessa suggestione che ha guidato il suo sguardo. Uno sguardo che cerca l’indicibile, la monumentalità, la solitudine, la vastità degli orizzonti, mentre macina luoghi con lo spirito del viaggiatore, lui che è nato a Venezia e cresciuto nel mito di Corto Maltese, per laurearsi in storia e intanto innamorarsi della poesia di Montale, del cinema americano, della fotografia ottocentesca e di quella dei grandi paesaggisti statunitensi.
«The Empire of the Night» è la personale che la Bugno Art Gallery di Venezia dedica all’artista fino al 30 giugno, esponendo venticinque immagini in grande formato, che Campigotto ha realizzato negli ultimi vent’anni.
Sono fotografie scattate di notte, che mettono in scena il caos come il silenzio, il flusso di New York vista dall’Empire State Building come la magia immobile della Basilica Cisterna di Istanbul, i minareti di Yazd in Iran come i Fori Imperiali di Roma, la sopraelevata di Chicago come il porto di Marghera. «Cerco sempre, scrive l’autore, di combinare la tensione compositiva dell’inquadratura con la forza suggestiva di un colpo di luce. Le mie corde non sono certo minimaliste, né davvero documentarie. La fotografia che amo e che inseguo è implacabile come una fucilata».
Evocative e limpide, precise tanto nei dettagli quanto nell’insieme iperrealistico, le sue fotografie sono i frammenti di un procedere non narrativo e restano sganciate da coordinate temporali che non siano quelle del sedimentarsi dei ricordi, e di una nostalgia che scalda le luci artificiali rendendo la visione ancora più nitida.