C’era una volta il maschio

Al Gropius Bau il concetto di mascolinità sviscerato nelle sue declinazioni contemporanee

«Untitled 22», dalla serie «Christopher Street», 1976, di Sunil Gupta. Cortesia dell’artista e della Hales Gallery. Sunil Gupta; VG Bild-Kunst, Bonn 2020; all rights reserved, DACS 2019
Francesca Petretto |  | BERLINO

Il Gropius Bau allestisce dal 16 ottobre al 10 gennaio la mostra collettiva «Mascolinità: liberazione attraverso la fotografia», che presenta, fra gli altri, lavori di Laurie Anderson, Richard Avedon, Rotimi Fani-Kayode, Isaac Julien, Annette Messager, Catherine Opie.

Al sostantivo del titolo (mascolinità) vengono spesso accompagnati oggi aggettivi connotativi come tossica o fragile, con cui si parla di crisi dei ruoli, cioè di crisi dell’uomo e della famiglia, del patriarcato e del suo sistema sociale profondamente maschilista.

Oltre 300 lavori di 50 artisti e fotografi internazionali indagano su nascita, percezione e sviluppo di un costrutto tutt’altro che biologico, performativo, socialmente imposto a donne e uomini, soprattutto dalla fine degli anni ’60, quando il femminismo entrava nelle manifestazioni di piazza e nelle Università, formando nei giovani una coscienza critica nei confronti della tradizione.

Le domande odierne sono: quali devono essere i comportamenti corretti, consoni al ruolo di maschio nella società globalizzata? Come devono essere espressi secondo le aspettative di questa?

Il quadro d’insieme è complesso, particolarmente critico nei confronti di temi centrali del nostro tempo come il patriarcato, il potere, il razzismo e aperto verso altre frontiere, come l’identità queer, la sessualità, la percezione femminile della mascolinità e la loro fitta rete di interrelazioni. La mostra, organizzata dal Barbican Centre, proviene da Londra: alla Barbican Art Gallery aveva aperto a febbraio per poi riaprire dopo il lockdown tra luglio e agosto.

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