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Bronzo lacca e giada

Lidia Panzeri

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Il suono dell’arte, ovvero l’arte non più limitata al solo senso della vista. È pratica contemporanea, ma anche pratica millenaria. All’epoca del regno dello Stato di Chu, in Cina, tra l’VIII e il III secolo a.C. nell’odierna provincia dell’Hubei attraversata dal Fiume Azzurro, il bronzo era il materiale con cui si realizzavano intere orchestre di campane finemente cesellate. Un esempio lo si potrà ammirare dal 12 marzo al 25 settembre nella mostra «Meraviglie dello Stato di Chu. La musica e l’arte della guerra», nella doppia sede del Museo Nazionale Atestino di Este e nel Museo Nazionale Archeologico di Adria (a cura di Adriano Madaro e Wang Jichao). La civiltà Chu è caratterizzata da due fasi: la prima di espansione militare, denominata «Periodo della Primavera e degli Autunni» (722-481 a.C.), la seconda dei «Regni combattenti» (481-221 a.C.), un periodo di grandi conflitti nei confronti delle popolazioni circostanti, ma caratterizzato dal culto e dalla rinascita delle arti, in primis la musica. Nel 206 a.C. l’annientamento da parte dei Qin: nasce il grande impero cinese e scompare lo Stato di Chu, finito poi nell’oblio fino alle straordinarie scoperte archeologiche degli ultimi trent’anni. La mostra merita una visita anche per lo scambio culturale tra l’Hubei e, per il versante veneto, la Regione, i Comuni di Este e di Adria, la Soprintendenza archeologica e il Polo Museale Veneto con il supporto della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Il confronto è con l’antica civiltà dei Veneti che ebbe la sua massima espansione tra l’VIII e il V secolo a.C, nella terra bagnata dai fiumi Po e Adige e in una collocazione geografica che, dalle sponde dell’Adriatico si inoltrava fino alle Prealpi, via di accesso alle terre del Nord. Lo dimostrano i ricchi corredi funerari, la varietà e preziosità del vasellame e la raffinatezza delle decorazioni delle situle in bronzo. In analogia con i Chu anche i Veneti furono travolti dall’affermarsi dell’Impero Romano. Certo, l’ordine di grandezza è diverso: il territorio della provincia cinese è ben più vasto di quello del Veneto; il museo provinciale dell’Hubei, nel capoluogo Wuhan, con i suoi quasi 50mila metri quadrati (di cui oltre 13mila, dedicati alla cultura Chu) di estensione e i suoi 140mila reperti, inavvicinabile. Tre sono i settori di eccellenza della civiltà Chu: il bronzo, la lacca e la giada. Il bronzo per le campane, i tamburi e le armi, ma anche per oggetti rituali come i vasi per libagioni a «pareti quadrate» e gli incensieri, le lampade, gli specchi e gli oggetti quotidiani tutti finemente cesellati. 

La lacca, di qualità così elevata da consegnarci intatti dopo più di due millenni anche gli oggetti in legno che ricopriva, insieme a quelli di terracotta, di bronzo e persino di cuoio. La giada, da quella imperiale, definita «grasso di montone» riservata ai re, alla qualità meno pregiata man mano che si discendeva nella gerarchia sociale; infinite le possibilità d’impiego, dalle cinture ai fermagli, dai bracciali agli anelli. Trasversali i simboli della fenice e del drago che forniscono anche il titolo della sezione culturale, in mostra a Este; quella relativa all’arte della guerra, invece, è ad Adria. 

Lidia Panzeri, 15 febbraio 2016 | © Riproduzione riservata

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