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Silvano Manganaro
Leggi i suoi articoli«Abbiamo ricevuto dalla nostra famiglia (…) le idee di cui viviamo come la malattia di cui moriremo»: così scriveva Marcel Proust e così sembra pensarla l’artista inglese Jonny Briggs il quale, ormai trentenne, continua a lavorare incessantemente sulla figura dei suoi genitori, sui ricordi legati alla sua infanzia e alla casa in cui ha vissuto per tanti anni.
«Confortable in My Skin», la mostra che lo presenta per la prima volta al pubblico romano, in corso alla galleria Marie-Laure Fleisch fino al 13 giugno, concentra infatti l’attenzione su una serie di opere nelle quali Briggs, con la complicità dei genitori, mette in scena avvenimenti surreali per raccontare legami ancestrali e rapporti difficili, facendo della fotografia il risultato complesso di un lavoro di performance, scenografia, scultura e pittura. Se a un primo sguardo le sue fotografie possono sembrare frutto di un meticoloso lavoro fatto con Photoshop, guardando più attentamente ci accorgiamo che hanno un carattere installativo e performativo. Ed è così che opere dall’atmosfera inquietante come «Confortable in My Skin» (piccolo lavoro che dà il titolo alla mostra), «Holding», «The Home» e «Smiling Inside» diventano perfetta metafora di una condizione esistenziale e di un mondo a metà tra natura umana e cultura familiare, tra illusione e realtà.
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